- Papà, mi racconti quando hai visto John Coltrane?
- Non importa, raccontamelo un'altra volta. Tanto non c'è niente da fare.
L'alone giallo della lampada rischiara la veranda e una parte del giardino. Più oltre è tutto nero. Niente è nero come la notte in Africa.
Mio padre fa roteare il whisky nel bicchiere, beve un sorso e posa il bicchiere sul tavolo.
- E va bene. Era l’aprile del 1963 e lui suonava alla Salle Pleyel in una tournée organizzata da Norman Granz. In Europa, a quell’epoca, il jazz si suonava nei teatri. Abbiamo viaggiato tutto il giorno per arrivare a Parigi in tempo per il concerto.
- Com’era la Salle Pleyel?
- Rossa. O almeno, ricordo il sipario. Rosso con filetti dorati. Il concerto doveva cominciare alle nove, ma alle nove e un quarto non si vedeva ancora nessuno. Il pubblico ha cominciato a fischiare. A un certo punto...
- Che cos’è successo?
- Le luci si sono abbassate e si è acceso un riflettore che ha disegnato un grande cerchio dorato sul sipario. Poi il sipario si è aperto rivelando il palcoscenico. E il cerchio luminoso del riflettore ha inquadrato John Coltrane con il sax soprano, McCoyTyner al pianoforte, Jimmy Garrison al contrabbasso ed Elvin Jones alla batteria.
- In smoking. A quell’epoca per i concerti si vestivano così.
- Che cos’hanno fatto?
- Indovina? Hanno cominciato a suonare. My Favorite Things, un vecchio tema di Richard Rodgers che lui aveva arrangiato in 6/8. Tre anni prima era uscito il disco e tutti si erano meravigliati di sentire il jazz in 6/8. Lui ha suonato il tema, ha eseguito qualche piccola variazione, ha suonato il tema un’altra volta e poi...
- E poi?
- Se n’è andato.
- Come, se n’è andato?
- Se n’è andato. Ha lasciato il palcoscenico. Gli altri tre sono rimasti soli.
- Che cos’hanno fatto?
- Hanno continuato a suonare. Era una cosa molto strana. Il pianista suonava solamente due accordi, la batteria batteva il 6/8, il basso marcava i tempi forti. Hanno continuato così a lungo, in modo quasi svogliato, sembrava che niente dovesse cambiare. Una parte del pubblico ha cominciato a spazientirsi, a rumoreggiare. Eppure...
- Eppure?
- Qualcosa stava cambiando. Perché, mentre con la mano sinistra il pianista continuava a suonare quei due accordi, con la destra stava cominciando ad aggiungere delle note. Dapprima poche e raccolte nell’ottava centrale, come se avesse paura di esplorare la tastiera, ma con una progressione quasi impercettibile quelle note diventavano più numerose e si avventuravano sulle altre ottave. E nello stesso tempo la batteria eseguiva un crescendo, estendendo progressivamente l’accompagnamento sul rullante, sul tom-tom e sulla grancassa mentre la mano destra continuava a marcare quell’inesorabile 6/8 sul piatto. Era ipnotico. Poco per volta la gente è stata risucchiata da quella musica. Era come un edificio che stesse sorgendo lentamente e prendesse una forma sempre più riconoscibile. Il crescendo è continuato e a un certo punto, dopo molti minuti, la gente si è accorta di trovarsi immersa in un’atmosfera incandescente.
- Faceva caldo?
- Anche. L’aria sembrava di fuoco, il volume sonoro era diventato fortissimo quell’ossessivo 6/8 faceva tremare i muri e il pavimento, ormai la batteria accompagnava con una serie di rulli che due volte per misura finivano su un agghiacciante scroscio di piatti sottolineato dal tuono della grancassa, il contrabbasso sparava rombi di tuono, le corde straziate del piano urlavano come sirene. Non erano più tre uomini ma tre giganti, tre mostri, tre dei. E allora, al culmine di quella tempesta di note, di quella valanga di suoni, di quel cataclisma della natura...
- Lui è tornato.
- Chi?
- Come, chi? John Coltrane. Hai capito? Aveva lasciato che gli altri gli creassero il mood. All’acme del mood, quando l’atmosfera era rovente, quando sembrava che non si potesse andare più in là, che si fosse raggiunto il vertice del pathos, lui è tornato. E’ andato davanti al microfono e allora, soltanto allora, ha cominciato a suonare.
- In che modo?
- Ho detto a suonare. Ha cominciato con note lunghe, ampie, maestose, come se volesse attestare il suo dominio su quel cataclisma, come un dio che si librasse sul caos per creare l’universo.
- E poi?
- E poi ha ripreso il tema, trasformandolo come un pittore cubista, sviscerandolo, rivoltandolo, smontandolo, ricomponendolo, finché non c’era più il tema ma soltanto lui. E ha continuato a infilare un chorus dopo l’altro con quel suo linguaggio fluido, torrenziale, inarrestabile, progressioni e imitazioni, progressioni e imitazioni senza mai una pausa. Quando sembrava che avesse finito, che avesse dato tutto, trovava la forza e l’inventiva per ricominciare da capo alla ricerca di una nuova progressione, di una nuova imitazione, di un nuovo sviluppo. E sempre in crescendo, come se stesse lentamente salendo verso una vetta che conosceva soltanto lui e si tirasse dietro chiunque lo stesse accompagnando o ascoltando. Un chorus dopo l’altro, come se non dovesse fermarsi mai. Era una forza della natura, una valanga, un diluvio, un’alluvione di note che investiva il pubblico come una tsunami. C’era qualcosa di mistico, perché lui era mistico e anche in quella musica che non aveva niente a che fare con lo spiritual metteva tutta la mistica dello spiritual. Non aveva niente a che vedere con la versione aulica, pastorale del disco. Il pubblico sentiva, vibrava, soffriva con lui. Nel prime file si cominciavano a vedere gli effetti. Una donna era caduta sul pavimento in preda a una sincope, a una crisi emotiva o a tutt’e due e la SAMU aveva dovuto portarla via. Un’altra donna piangeva, un uomo stava afflosciato nella poltrona come se fosse fulminato da un infarto, un tizio si trascinava sul pavimento gemendo come un moribondo. E lui continuava come se non dovesse finire mai. A un certo punto si è fissato su quella chiave che si preme con l’indice della mano sinistra...
- Il si.
- Non con la terza falange, con la seconda. Quella chiave a spatola.
- Il re.
- Sì, quello. Se l’è presa con il re e ha cominciato a suonare un trillo. Era pazzesco. Un trillo inesorabile, ossessivo, e sotto il tuono della batteria, gli scrosci dei piatti, le gamme del pianista che adesso percorreva tutta la tastiera con la destra mentre con la sinistra suonava a martello come le campane quando c’è un incendio. Era incredibile. Non avevo mai sentito una musica così disperata.
- E poi?
- E poi, come se quello fosse stato l’apice di un orgasmo, è cominciata la fase decrescente. Aveva conosciuto Ravi Shankar, seguiva l’andamento del raga. A parte il fatto che il raga finisce all’acme mentre lui si distendeva. Le note sono diventate lunghe, stanche, languide, esauste come amanti dopo un amplesso appassionato. La batteria ha abbandonato il ritmo per suonare un delicato rullo di sottofondo, il contrabbasso ha estratto l’archetto. Le note del sax soprano si sono inseguite per un lungo momento come se non volessero abbandonare il tema, ma poco per volta l’hanno abbandonato. Uno scroscio di piatti, una lunga nota grave del contrabbasso con l’archetto, un accordo del piano ed è finito tutto.
Mio padre cerca di versarsi dell’altro whisky, ma dalla bottiglia non esce nemmeno una goccia.
- Di’ al boy di portare un’altra bottiglia.
- Hanno detto che era l’ultima.
- No, l’ultima se la sono scolata quei furbastri. Be’, andiamo a letto. In questo mortorio di posto non c’è niente da fare.
Dragor
.
In memoria di John Coltrane, 1926-1967
Bello. Scritto in modo coinvolgente, si immagina tutto.
Scritto da: Biz | 16/10/06 a 11:01
Emozionante Dragor.
Pare di sentirlo suonare...
Un omaggio splendido.
Scritto da: irenespagnuolo | 16/10/06 a 11:40
E' già la seconda volta che fai "sentire" la musica ad un'ignorante e anti-musicale totale. Qui gatta ci cova. Può essere che tu sia proprio bravo, sai?
;) Prishilla
Scritto da: Prishilla | 16/10/06 a 15:34
Toccante e profondo. John Coltrane, l'ho scoperto per caso (il giorno della sua morte, 17 luglio, è il giorno del mio compleanno... 76 però, non 67) e da allora, saranno 10 anni, l'ho sempre reputato il migliore nel suo genre! Grande John e complimeti Dagor... let's Jazz!
Scritto da: Miglio | 16/10/06 a 15:43
Grazie di questa perla. La sua musica ha cambiato un pò anche la mia vita e questo è uno dei più bei ricordi che abbia mai letto in trent'anni che cerco su Trane.
Scritto da: Bruno | 27/12/06 a 04:32