Mentre scrivevo il post di ieri in romanesco (e chiedo umilmente perdono agli amici romani de Roma per gli errori), avevo l’impressione di scrivere in francese. Lo stesso realismo, la stessa immediatezza, la stessa efficacia. Ecco una lingua parlata. Scrivendo in italiano, come sanno bene gli italiani, si ha sempre l’impressione che lo stile sia letterario e accademico. Se cercate di trasformarlo in una lingua di tutti i giorni, scadete fatalmente in una parlata regionale che non sarà mai comprensibile dalle Alpi alla Sicilia.
“L’italiano è una lingua scritta che non può essere parlata”, diceva Ugo Foscolo. E Leopardi: “In Italia ci sono più scrittori che lettori.” E Manzoni: “Lo scrittore italiano non ha la certezza di maneggiare uno strumento conosciuto dal lettore” (lui no di certo, nota di D.). Italo Svevo: “Si può raccontare efficacemente soltanto in una lingua viva e la lingua viva è il mio triestino.” Stendhal, dopo avere conosciuto il poeta dialettale milanese Carlo Porta: “Finalmente un italiano che scrive come mangia.”
Prendete un qualsiasi testo italiano dell’epoca di Stendhal e vedrete che è illeggibile. Prendete un testo francese della stessa epoca e vedrete che sembra scritto oggi. Perché questa differenza?
Il mito della lingua italiana è nato con Dante. Nel suo famoso trattato De Vulgari Eloquentia, il grande poeta sostiene che in nessuna parte d’Italia ha trovato la lingua ideale. Tutte hanno qualche difetto. Così immagina di radunare le bellezze sparse di ogni dialetto “siciliano, lombardo, romagnolo, di Puglia, dell’una e l’altra Marca” per captarne l’essenza “illustre, cardinale, reale e cortese” e farne uno stile in più lingue.
Due secoli più tardi Machiavelli pontifica: “La lingua più importante d’Italia è il fiorentino, quindi tutti gli italiani devono imparare il fiorentino e buonanotte.” La disputa è ancora aperta. Qual è la lingua della patria italiana? Il modello ideale, astratto, aulico prescritto da Dante o l’idioma reale della capitale del Rinascimento? E la disputa rivela una situazione paradossale, unica in Europa. Perché, se l’Italia aveva la lingua della tradizione letteraria, gli italiani non ne avevano nessuna. Per conversare fra loro, i poveracci disponevano soltanto dei vernacoli locali. Espressivi, efficaci, ciascuno dotato di una sua letteratura, ma nessuno parlato o capito dagli abitanti delle altre regioni.
In Italia manca una vera lingua nazionale. Quella variante del fiorentino chiamata italiano è parlata in modo diverso da una regione all’altra. Quando non si cerca di adattarla, è una lingua letteraria e astratta. “L’italiano è la lingua della passione”, diceva Stendhal, ma si riferiva al bel canto e alla poesia lirica. Se provate a scrivere dei dialoghi che abbiano qualche aderenza con la realtà, vi cascano le braccia. Non si può nemmeno far dire a qualcuno una frase semplice come “je vous aime” se non sotto forma di litote, “le voglio bene”. Se scrivete “l’amo”, fate ridere i polli. Del resto questa lingua che si presta così bene al canto, nel dramma è una frana. “E’ impossibile pronunciare una parola sostenuta, perché la lingua italiana consiste tutta in trochei e finisce sempre per una sillaba breve”, scrive Montesquieu. ‘”La breve che conclude una parola sembra sempre aggiungere qualcosa di superfluo. Quando vogliamo muovere un oggetto, dapprima lo spostiamo e conserviamo il massimo sforzo per la fine. Per i movimenti dell’anima è lo stesso.” Ecco perché il francese si presta meglio alla declamazione, essendo tutto in giambi. L’italiano accentua sulla penultima sillaba, il francese sull’ultima. Confrontate l’effetto drammatico di “partons!” con quello leggermente comico di “partiamo!” Non per niente, per fare un po’ di dramma, gli italiani sono costretti a dire: “partiam!” “Il tragico ha bisogno di forza e la pronuncia italiana non ce l’ha”, scrive Montesquieu.
Non ce l’ha perCHE' l’italiano è una lingua artificiale, slegata dalle necessità quotidiane. In compenso questa forza la trovate nei dialetti. Maestri nell’arte di trarre il massimo da ogni risorsa, gli italiani sapranno sicuramente sfruttare quella vitalità, trasferirla nella lingua nazionale e renderla sempre più aderente alla vita. Lo stanno già facendo, è solo questione di tempo.
Dragor
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Post assai interessante e ricco di opportuni riferimenti puntuali.
La differenziazione della lingua tra letteraria e parlata, la diversità di lingue e pronunce tra zone diverse del medesimo paese è circostanza comune. La poca immdediatezza dell'italiano,la sua scarsa concisione storicamente riscontrabili non ostacolano l'uso flessibile della lingua. Si leggono testi e si ascoltano discorsi che brillano per chiarezza e per concisione. Comunque a me piace lo stesso anche se davvero lingua complicata.
Scritto da: luigi zoppoli | 26/09/07 a 10:44
assolutamente d'accordo con te
Scritto da: marco.giacosa | 26/09/07 a 11:08
Mah.
Secondo me, non è vero.
L'italiano c'è.
La pietra di paragone non è certo la Francia: da secoli e secoli unita, con un centro quasi unico e indiscusso, Parigi.
L'Italia, politicamente unita da pochissimo su tempi storici (meno 150 anni fa), è un paese di decine di capitali. I dialetti sono più vari è vivi. Lunga e stretta. Non una ma 100 cucine diverse.
E però, l'italiano non è una astrazione.perdinci.
Gli arricchimenti dialettali, la varietà dialettale c'è.
Ma da qui a sostenere che ci sono i dialetti e non l'italiano, che ci sono le regioni e l'Italia è una "espressione goeografica" c'è un abisso.
Incolmabile.
E se un francese la pensa diversamente, non ha capito nulla dell'Italia.
Del resto, i francesi difficilmente hanno capito qualcosa degli altri.
Scritto da: Biz | 26/09/07 a 12:08
Validissimo post,argomento molto stimolante.
Il problema lingua-dialetti io lo vedo così.
Quello che scrive Biz a proposito del contesto storico differente Italia-Francia è reale.Quando si realizzò l'unità del nostro Paese l'italiano come lingua scritta e parlata era appannaggio di pochi tanto che il Manzoni appunto proponeva di mandare in giro gli insegnanti proprio come missionari per alfabetizzare le diverse realtà.
Noi che siamo figli del secondo dopoguerra, per esempio, sui banchi di scuola, fin dalle elementari abbiamo sempre parlato l'italiano e guai ad usare nel parlato o inserire nello scritto termini dialettali.Anche in casa era d'obbligo l'italiano nei ceti medi.
In Sardegna le mie colleghe coetanee mi hanno sempre detto che per loro invece studiare l'italiano che la scuola pretendeva era come apprendere una lingua straniera.Infatti lo parlano e scrivono molto più correttamente che in altre realtà al nord o al sud d'Italia indifferentemente.Poi dagli anni sessanta in avanti con la scuola media dell'obbligo(1962),gradualmente si è fatto spazio nelle antologie a poesie e brani dialettali.E c'è stata una rivalutazione dei dialetti. Cosa molto interessante proprio per la ricchezza che la lingua parlata possiede a livello comunicativo.E poi opere come il teatro di Goldoni o quello di Eduardo De Filippo si leggevano o ascoltavano piacevolmente.
Con apprezzamenti anche da parte della critica.Era comunque già un'altra Italia. E si è andato avanti tanto che alcuni scrittori come Camilleri per la Sicilia o Niffoi per la Sardegna hanno dato vita ad una lingua scritta che è un pastiche di italiano e dialetto.
Quello che vorrei evidenziare,cui tu Dragor hai accennato, è la difficoltà oggi nelle scuole superiori(ragazzi di 16-18 anni) di far leggere e comprendere un testo di Machiavelli o Guicciardini ma anche di Alfieri,Foscolo o Verga.
Questo l'ho sperimentato personalmente e, trovandomi in un istituto tecnico mi sono detta che tutto sommato forse era preferibile far leggere a quegli alunni degli autori contemporanei che li avrebbero avvicinati e non allontanati dal piacere della lettura e della comprensione.Tieni presente che in quel contesto non esisteva dialetto nè parlato,nè scritto(Sardegna di nord-est)a scuola e siamo nel 2002.Oppure si sarebbe dovuto far ricorso a delle traduzioni dei classici nella lingua corrente, che esistono e sono molto frequenti nelle antologie di scuola media.
Posso ancora aggiungere che negli anni ottanta già incontravo difficoltà a far recepire un'Odissea o Eneide(in italiano) nelle traduzioni del Pindemonte o Annibalcaro.
Questa la mia esperienza.
Pertanto la rivalutazione del dialetto mi sta benissimo in quanto arricchente ma anche l'uso del parlato nella lingua scritta,non necessariamente dialetto. Come oggi troviamo in molti autori contemporanei.
Carissimo ora ti auguro buon pranzo ma ritorno più tardi.A presto. Marianna
Scritto da: marianna | 26/09/07 a 13:32
Secondo me è vero che in Italia manca una vera lingua nazionale. (E non è l'unica cosa nazionale che manca. ) Le ragioni sono storiche e geografiche, come evidenzia giustamente Biz, ma ciò non toglie che quando sento parlare un calabrese o un veneto non sento che sta parlando la "mia" lingua. Cionostante non credo che l'italiano sia un'astrazione. La definirei una lingua di scambio, più che una lingua di espressione emotiva, ma non
un'astrazione.
Ciao, Prish
Scritto da: Prishilla | 26/09/07 a 13:44
Fatta l'Italia occorreva fare gli italiani e la lingua italiana, questo è vero. Ma la ricchezza dell'italiano sta proprio nella "confusa complessità", Dragor. Radici antiche e diverse, profonda cultura, fantasia ineguagliabile...!
Se pensi che una lingua sia un mezzo per comunicare messaggi chiari, inequivocabili, netti allora forse hai ragione. Se la immagini come espressione di un corpo sociale, umano, storico allora l'italiano è meravigliosamente frizzante !
Questo non toglie, ripeto, che gli italiani si sentono ancora romani, fiorentini, triestini...ma questa infinità di sfumature avrebbe potuto generare un tesoro Dragor.
Forse non lo ha fatto per altre difficili circostanze...Ma insomma difendo l'italiano a spada (quasi) tratta !
Scritto da: irenespagnuolo | 26/09/07 a 14:10
Sono d'accordo che l'italiano scritto sembri artificioso, ma non è un dramma. Io vivo in una città con immigrati da tutte le regioni. In un paio di generazioni il mescolamento sarà abbastanza completo e dimenticheremo i dialetti.
Con l'italiano corretto si possono fare scritti e discorsi più vivi che mai, è faticoso ma si può fare.
Sul sito di Grillo c'è un bel filmato di Bergonzoni, faticoso da capire, appunto, ma per me un esempio di uso vivissimo della lingua italiana.
Scritto da: andrea c. | 26/09/07 a 14:27
LUIGI ZOPPOLI :grazie, ma come vedi l'argomento è controverso. In ogni caso trovo che l'italiano scritto sia debole soprattutto nei dialoghi. Per i discorsi, le descrizioni e la saggistica va benissimo
MARCO GIACOSA: allora non ho le allucinazioni. Mi era parso di vedere un maiale volante... :-)
BIZ: infatti alla fine del post dico che è soltanto questione di tempo, allusione al fatto che l'Italia è nata più tardi come nazione unitaria.
Che la verità dialettale esista, una varietà straordinaria e molto vitale anche se in Francia l'Occitano, il Bretone, il Provenzale, il Basco, il Fiammingo, l'Alsaziano, il Catalano, il Corso e ovviamente il Nissart non sfigurano affatto al confronto, lo dico chiaro e tondo nel post. Ma affermo che la lingua italiana pura non ha la stessa vitalità. I traduttori lo sanno bene. Provatevi a tradurre l'argot francese o lo slang americano in un modo che sia comprensibile dalle Alpi alla Sicilia, senza cadere in regionalismi che sarebbero efficacissimi ma sono proibiti.
E chi ha detto che i francesi non capiscono niente degli altri? Chi ha inventato l'antropologia strutturale?
dragor (journal intime)
Scritto da: dragor | 26/09/07 a 15:57
PRISHILLA: Mi dicono che una volta, nemmeno molto tempo fa, la stessa impressione di estraneità linguistica si aveva anche sentendo parlare qualcuno nato a venti o trenta chilometri di distanza. Il fatto che adesso i chilometri siano diventati qualche centinaio è sicuramente un progresso.
Come lingua di scambio l'italiano va benissimo, ma quando una lingua non puo' esprimere le emozioni e non puo servire per scruvere dei dialoghi efficaci in un modo che si possa comprendere in tutta la nazione, per me è una lingua astratta
Ciao, a presto
dragor (journal intime)
Scritto da: dragor | 26/09/07 a 16:04
Cara Irene, quale italiano? Se mi dici che la vitalità risiede nei dialetti, ti do ragione. Ma se mi dici che sta nella lingua nazionale, non sono d'accordo. Vedo la differenza scrivendo in francese e perfino in romanesco. Ecco la vitalità!
dragor (journal intime)
Scritto da: dragor | 26/09/07 a 16:09
Cara Marianna, infatti nel post lascio trasparire che l'aspetto artificioso dell'italiano dipendanche dalla relativa giovinezza dell'Italia come nazione unitaria. Gli esperimenti di Cammilleri e Niffoi sono interessanti, ma una lingua veramente nazionale non dovrebbe avere bisogno di questi pastiche e bastare a se stessa. Altre lingue lo fanno e un giorno verrà anche il turno dell'italiano.
Leggere gli autori contemporanei va benissimo. Purtroppo molti classici italiani sono incomprensibili da parte di chi non ha una certa cultura letteraria,a differenza dei classici francesi. Da noi certe cose di Voltaire si fanno leggere perfino nelle elementari. Sembrano scritte oggi. Ma prova a leggere Beccaria...
Grazie per il tuo intervento, è chiaro e illuminante. A presto
dragor (journal intimle)
Scritto da: dragor | 26/09/07 a 16:24
Caro Andrea C., gran parte del merito è anche degli scrittori e soprattutto dei traduttori, che si sforzano di creare praticamente dal nulla una lingua che sembri aderente alla realtà. Alla lunga hanno infuenzato anche i la lingua parlata, rendendola uno strumento più duttile.
dragor (journal intime)
Scritto da: dragor | 26/09/07 a 16:30
Ma si Dragor, facevo un po' il nazionalista.
La patria è come la mamma, ne possiamo parlare male solo noi, ma se ne parla male un altro no. E tu, sei italiano o francese?
Infine, una battuta: i francesi, per capire qualcosa degli altri hanno dovuto inventare addirittura l'antropologia strutturale! ... che fatica ...
Scritto da: Biz | 26/09/07 a 16:32
Caro Biz, diciamo Nissart. Siamo una razza a parte, ecco perché possiamo parlare male di tutti
Devo riconoscere che la battuta è fortissima :-)
dragor (journal intime)
Scritto da: dragor | 26/09/07 a 16:37
Fuori dalla battuta, faccio un altro esempio.
Tempo fa ho dovuto studiare gli interventi coloniali nel nord africa.
Ora, per quanto gli italiani fossero fascisti, le loro architetture coloniali erano molto più inserite che quelle dei francesi (che in genere, altro non facevano che riprodurre semplicemente i loro modelli, a volte tragicamente applicando alcune forme della architettura tradizionale magrebina a mo' di stilemi, senza capirle assolutamente).
C'è voluta l'antropologia strutturale, e qualche tipo fuori dall'ordinario come Fernand Pouillon per migliorare un poco la situazione.
Scritto da: Biz | 26/09/07 a 16:39
Mi sembra che l'architettura coloniale dell'Italia assomigli a quella che si vede in certe città dell'Agro Pontino bonificato da Mussolini. Secondo me il meglio dell'architettura coloniale francese non si vede in Africa ma nelle Antille, alla Réunion e anche nella Nouvelle Orléans. In Africa si puo' vedere qualcosa d'interessante a St Louis du Sénégal.
Di Pouillon ho visto quello che ha fatto a Marsiglia e non mi è piaciuto molto. Forse è per questo che i marsigliesi lo chiamano Couillon...
dragor (journal intime)
Scritto da: dragor | 26/09/07 a 16:53
Io sono di padre siciliano e madre piemontese. Non capisco ne` il dialetto piemontese ne` il dialetto siciliano. Posso parlare solamente italiano. Non mi pare che l'italiano sia una lingua poco chiara o poco espressiva. Forse ` e` una lingua poco conosciuta, in tutte le sue possibilita` e sfumature, dagli italiani
Scritto da: Sariddu | 26/09/07 a 17:25
Couillon? :-)
Ma no. L'hai lette le sue memorie? No, era simpatico, un bel tipo.
Scritto da: Biz | 26/09/07 a 18:52
non è vero quello che dici.
forse pensi ai dialoghi un po' stucchevoli delle nostre opere liriche- che non sono i versi di wagner- ma lì è la musica che conta. ma verga, manzoni (nei promessi sposi) sanno usare l'italiano come balzac e stendhal il francese, cechov o tolstoj, il russo. I grandi geni sanno attingere alla loro lingua per arrivare a delle verità universali. E poi dimentichi che il francese parlato è entrato nella letteratura francese con celine, stendhal è tutt'altra cosa.
Scritto da: bourbaki | 26/09/07 a 18:58
Bravo Sariddu : poco conosciuta...!
Dragor, perdona il mio "patriottismo"...!
Scritto da: irenespagnuolo | 26/09/07 a 19:23
Welfare, jogging, mobbing, V-Day, e-mail, lifting, by-pass, ticket, stand-by, football,fast food,slow food etc., etc.
Chi dice che la lingua italiana non si evolve?
Tesea
Scritto da: tesea | 26/09/07 a 21:36
Sicuramente l'italiano è una lingua artificiosa, una sorta di esperanto per far comunicare la penisola, però "partons!" mi fa più ridere di "partiamo".
Scritto da: Finazio | 26/09/07 a 21:56
Nel mezzo delle dispute io ringrazio Biz perchè mi ha incuriosito e sono andata a vedere le immagini di opere realizzate da Fernand Pouillon. E trovo anche che come esperienza di vita la sua sia senz'altro interessante.
A te Dragor la buona notte.
Sono arrivata troppo tardi stasera. Vado a nanna.
Marianna.
Scritto da: marianna | 26/09/07 a 22:20
L'italiano secondo me è una lingua bella , riesce a esprimere i sentimenti, a essere piena di sfumature, come detto da Sariddu. Si presta a essere usata e amata.
Riguardo l'illeggibilità non sono d'accordo. Ci si può spingere anche più indietro riuscendo a comprendere molto. L'inglese, lingua che ha subito più cambiamenti, è maggiormente esposta a questo rischio.
Anche in Italia si parla Occitano. Ancora capita di poter riconosce da che zona viene una persona sentendola parlare. Penso che queste differenze dialettali siano una ricchezza che non va dimenticata.
Non è perdendo il dialetto che si trova l'italiano.
Bisogna piuttosto dare la possibilità alla gente di conoscere l'uno e l'altro e di poter scegliere quale lingua usare a seconda delle occasioni. E' in questo la ricchezza espressiva
post ricco di spunti grazie Dragor
p.s. ammetto di non aver percepito la carica drammatica di partons
Scritto da: pinky06 | 27/09/07 a 01:27
Finazio, per dare forza a una parola, bisogna mettere l'accento sull'ultima sillaba. Prendi i comandi militari. Anche gli italiani si sono adeguati. togliendo di mezzo l'ultima vocale.
dragor (journal intime)
Scritto da: dragor | 27/09/07 a 05:37
BIZ
E' più simpatico lui delle sue case. Guarda un po' quello che ha fatto a Marsiglia...
BOURBAKI
Non parlo solo dei dialoghi ma dello stile. Quello italiano si è evoluto in ritardo rispetto a quello francese, per le ragioni che sappiamo. Escludo che Manzoni sappia usare l'italiano come Balzac usa il francese. La lingua di Balzac è naturale, quella di Manzoni incerta, forzata, farraginosa.
IRENE
Non c'è bisogno di scusarsi per essere patrioti... :-)
MARIANNA
Arrivo un po' in ritardo, cosi' ti auguro il buongiorno. Se ti piace Pouillon, non leggere quello che ho scritto a Biz... :-)
PINKY 06
So bene che l'italiano è una lingua duttile ed espressiva. E' tutta la vita che lo studio. Pero' quando scrivo in francese o anche in pseudoromanesco mi sembra di avere uno srtumento più aderente alla realtà e al normale modo di parlare. Soprattutto, nel caso del francese, uno strumento che mi permette di adottare un argot comprensibile da Menton a Brest, cosa praticamente impossibile in Italia.
Per la carica drammatica, come dico a Finazio, una parola sostenuta deve avere l'accento sull'ultima sillaba. Perché si dice presentat'arm invece di presentate le armi? Il trocheo fa ridere
Grazie per gli apprezzamenti
TESEA
Ma quello non è italiano!
Grazie a tutti per i vostri commenti, a presto, buona giornata
dragor (journal intime)
Scritto da: dragor | 27/09/07 a 08:18
Caro Sariddu, con tutta la buona volontà, il più bravo traduttore non riesce a tradurre l'argot francese o lo slang americano senza cadere in regionalismi. E gli editori li proibiscono. Lo so per esperienza
dragor (journal intime)
Scritto da: dragor | 27/09/07 a 08:25
La lingua parlata e quella scritta sono lo strumento con cui si comunica. La lingua è, però, anche l'espressione dei nostri pensieri, dei sentimenti, delle invocazioni. La lingua segna la nostra identità, di gruppo ed individuale. Un paese così antico e parcellare come l'Italia, storicamente più affezionato alle proprie particolarità che alla sua unità, ha avuto bisogno di tante sfumatore linguistiche dialettali. Eravamo fieri del nostro linguaggio paesano, ma abbiamo saputo ritrovare una lingua comune nel processo unitario degli ultimi due secoli. L'italiano è vitale perché si è arricchito della lingua del cinema, della TV, dei giornali ed ora degli SMS. L'italiano moderno ha ora acquistato la forza del "comune pensare"; non vale il confronto con i tempi passati, quando il francese, dei classici e della gente comune, era nettamente superiore per capacità d'espressione e comprensione, da Rabelais, a Pascal, a La Fontaine, Molier, Rousseau, Hugo, Balzac ecc.
Vive la France e (finalmente) Viva l'Italia, se ci capiamo: Viva l'Europa!
Scritto da: Pasquone | 27/09/07 a 08:29
L'italiano non esiste. Quello che parliamo è in buona parte è la lingua toscana nella variante fiorentina con qualche prestito da altre lingue.
Poi bisogna smetterla di usare la parola "dialetti".
"Dialetto" è una parlata che deriva da una lingua principale ( come ad esempio il padovano rispetto al veneto, il barese rispetto al napoletano, il salentino rispetto al siciliano ed il genovese rispetto al galloromanzo ). Qui si può parlare solo di lingue.
Scritto da: IO | 18/07/08 a 18:12