Si può imbrogliare sul nome, sul cognome, sull’indirizzo, sulla nazionalità, sulla firma, sul sesso, perfino sulla faccia. Ma quando si propone un mezzo d’identificazione che come margine di errore ha una probabilità su 64 miliardi, tutti gridano alla schedatura fascista.
Perché un mezzo d’identificazione è democratico solo quando è imperfetto? Non risulta che la gente si senta schedata quando ha un nome, un cognome, un indirizzo, una nazionalità, una firma, un sesso e una faccia, anche se di schedatura si tratta perché questi dati dovrebbero differenziare una persona da tutte le altre. Di solito accetta senza discutere che i dati in questione siano riportati sulla sua carta d’identità. Ma se si parla di riportare le impronte digitali o peggio ancora quelle genetiche, che praticamente non lasciano spazio a errori, è tutto un coro di “queste misure sono fasciste”, “richiamano le leggi razziali”, “potrebbero avere effetti traumatici sui minori”, “non si possono schedare i cittadini", "come si puo' perpetrare tale infamia?", "è una vergogna indegna di un paese civile!"
Certo, per il momento non sono ancora adottate universalmente. Per il momento in Italia si vuole adottare questa misura per una comunità che fa di tutto per sfuggire all’identificazione, quella Rom. Perché non le va di essere identificata? Semplicissimo, perché molti suoi membri mandano i bambini a rubare e a mendicare. Quando la polizia riesce a beccarli, non li può arrestare in quanto minori, così è costretta a renderli alle famiglie che il giorno dopo li rimandano a mendicare e a rubare. A Nizza è un classico: se sei o sette marmocchi vi circondano con giornali spiegati come se volessero mostrarvi qualcosa, è perché sotto i giornali vi stanno vuotando le tasche. Quando ve ne accorgete, è troppo tardi. La polizia si è stancata di riportarli alle sedicenti famiglie perché il giorno dopo se li ritrova regolarmente fra i piedi, così si limita a mettere qua e là dei cartelli in varie lingue con scritto: “Se dei bambini vi circondano con giornali… ecc.” E tutto questo senza considerare i furti in appartamento e il taccheggio nei negozi, altre specialità in cui i piccoli zingari primeggiano. Non si tratta di criminalizzare la comunità ma di essere realisti e riconoscere che presso i Rom il tasso di delinquenza è molto alto. Lo denuncia perfino il grande Emir Kusturica che ha frequentato i gitani fin dall’infanzia.
In ogni caso, per restituire i bambini alle famiglie bisogna sapere quali sono le famiglie in una comunità dove spesso i nomi, le età, le nazionalità e in generale i dati anagrafici sono considerati delle noiose costrizioni da cambiare secondo l’aria che tira. Alcuni bambini sono importati illegalmente da paesi extracomunitari, altri non hanno nessun rapporto di parentela con i presunti genitori. Sono considerati solamente come oggetti intercambiabili da sfruttare e sul mercato hanno un valore che si aggira dai cinque ai diecimila euro, secondo le loro capacità. Sono gli schiavi dei tempi moderni. Tutto quello che può facilitare l’identificazione dei piccoli gitani e dei loro sfruttatori dovrebbe essere accolto dalla società civile come una benedizione, altro che tirare in ballo i metodi nazisti, la schedatura dei cittadini, la discriminazione etnica e la criminalizzazione delle vittime come fa Thomas Hammerberg, il commissario europeo ai Diritti Umani, che non li difende affatto visto che non solo li lascia calpestare, ma combatte le misure che dovrebbero proteggerli.
SE L'IDENTITA' è un diritto umano, lo è anche la verifica. La presa delle impronte digitali non è più fascista dello scatto di una fotografia, a parte il fatto che riduce quasi a zero il margine di errore. Queste cose vanno affrontate in modo pragmatico, non ideologico. Chi ha paura delle impronte? Solo chi ha qualcosa da nascondere.
Dragor
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