Tutto bene. Tiriamo un sospiro di sollievo. Renato Sesana, ex direttore della rivista comboniana Nigrizia e missionario in Kenya, non è un pedofilo, come annuncia trionfalmente il Corriere della Sera. Eric Kiraith, il capo della polizia di Nairobi, ha scagionato completamente il missionario italiano dall’accusa di pedofilia che gli avevano rivolto 2 suoi collaboratori e alcuni bambini. “L’implicazione del prete in questo tipo di azioni non è nemmeno lontanamente provata”, ha detto Eric Kirzaith. “Dalle indagini che abbiamo effettuato sui presunti abusi sessuali non è emerso niente. Non c’è nessuna prova.” I collaboratori, che dichiaravano di averlo sentito confessare i suoi atti pedofili e ammettere di essersi fotografato con i bambini durante gli abusi, volevano semplicemente cacciarlo dal Kenya per impadronirsi della fortuna che Sesana ha accumulato a forza di lasciti e finanziamenti filantropici, una fortuna valutata in 3 miliardi di scellini kenioti pari a 5 milioni di euro.
Cosi’, per la polizia di Nairobi, Sesana è innocente come un agnellino. Non ha fatto niente, può continuare a stare con i bambini e a mandare avanti la sua Koinonia, un'organizzazione di beneficenza. Non è vero che i preti sono tutti pedofili, ce n’è anche qualcuno che si adopera per il bene del prossimo. Il finale edificante di una torbida storia. Sì, ma mettiamo (dico mettiamo, non sto accusando nessuno, non saltetemi in testa) che Sesana fosse colpevole. Credete che il finale sarebbe cambiato? Da una parte due ex pupilli e alcuni ragazzi africani, dall’altra tutto il potere della Chiesa cattolica. Per questo affare si sono mobilitati tutti: i comboniani, il papa, il Vaticano, le Acli, oltre naturalmente alle organizzazioni cattoliche del Kenya. Tutti hanno fatto quadrato attorno a Sesana come lo hanno fatto attorno ai vari Gelmini, Dessi', Rassello, Mazzocato, Gamba, Mariani e altri preti risultati ampiamente colpevoli, difendendolo a spada tratta, giurando e spergiurando che mai avrebbe potuto toccare un bambino se non per impartirgli una paterna benedizione. Hanno sempre giurato e spergiurato anche in presenza di prove evidenti, di testimonianze inconfutabili, di computer traboccanti di immagini pedopornografiche, di foto e di video che ritraggono i colpevoli in azione. Hanno fatto pressioni sui giudici, sul governo, cercato di ribaltare le sentenze. Da una parte c’è l’atto di fede, il riflesso pavloviano di chi, fin dalla più tenera infanzia, è abituato a considerare molto virtuoso il fatto di credere contro ogni evidenza e a prendere i suoi desideri per realtà. Dall’altra c’è il timore di un effetto domino che trascini tutta la Chiesa nell’abisso della colpa come è già successo in vari parti del mondo, con le conseguenti penalità da pagare. E si sa come i preti siano sensibili quando li si tocca nel portafoglio.
Ma il caso di Sesana è avvenuto in Africa, non in Europa o in America. Quando si posseggono i miliardi (di scellini kenioti, d’accordo, ma pur sempre miliardi), quanto credete che ci voglia per comprare un poliziotto keniota che guadagna al massimo 1000 scellini al mese, circa 100 euro? Per mettere a tacere tutta la faccenda come i preti cercano sempre di fare quando uno di loro è accusato di pedofilia? Sicuramente una cifra infinitamente inferiore a quella che dovrebbero pagare se fosse provata la colpevolezza di un loro collega. Perché il computer di Sesana (che si è ribattezzato Kizito, dal nome di un santo ugandese, come se il suo vero nome non suonasse già abbastanza africano pur essendo di Lecco) era imbottito d’immagini pedopornografiche.
questa è la realtà, se dobbiamo credere al reporter di The Standard, un giornale di Nairobi che come sottotitolo si fregia di un altisonante For Fairness and Justice. Non è vero, come ha asserito il poliziotto di Nairobi, che contro Renato Sesana non è emerso niente. Che contro di lui c’era solamente un castello verbale di accuse senza prove. Otuma Onfalo, così si chiama il reporter, dichiara di avere visto le foto che ritraggono Sesana nell’atto di sodomizzare i bambini e scrive: “Ho visto molte immagini orribili, ma nessuna mi ha impressionato come quelle.” Certo, per ammissione dello stesso Otuma, le foto e i video si possono anche truccare. Ma allora la magistratura dovrebbe spiegare chi le ha truccate (dopo avere parlato della loro esistenza, cosa che si è ben guardata dal fare). Dovrebbe chiedere una perizia da parte di esperti indipendenti. Dovrebbe spiegare come mai un gruppo di ragazzi poveri e 2 ex pupilli squattrinati conoscevano una tecnologia così sofisticata e incriminarli ufficialmente. O magari negare l’esistenza delle foto e accusare Otuma di calunnia. Invece niente. Nel trionfale annuncio dell’innocenza si è elegantemente sorvolato sulle foto. Come dice Otuma, ormai si tratta di una questione fra Sesana e Dio. Sempre che Dio esista, cosa tutta da dimostrare.
Dragor
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