journal intime:

« febbraio 2010 | Principale | aprile 2010 »

04/03/10

Il capo del governo

"Il capo del Governo si macchiò ripetutamente durante la sua carriera di delitti che, al cospetto di un popolo onesto, gli avrebbero meritato la condanna, la vergogna e la privazione di ogni autorità di governo. Perché il popolo tollerò e addirittura applaudì questi crimini? Una parte per insensibilità morale, una parte per astuzia, una parte per interesse e tornaconto personale. La maggioranza si rendeva naturalmente conto delle sue attività criminali, ma preferiva dare il suo voto al forte piuttosto che al giusto. Purtroppo il popolo italiano, se deve scegliere tra il dovere e il tornaconto, pur conoscendo quale sarebbe il suo dovere, sceglie sempre il tornaconto.

Così un uomo mediocre, grossolano, di eloquenza volgare ma di facile effetto, è un perfetto esemplare dei suoi contemporanei. Presso un popolo onesto, sarebbe stato tutt'al più il leader di un partito di modesto seguito, un personaggio un po' ridicolo per le sue maniere, i suoi atteggiamenti, le sue manie di grandezza, offensivo per il buon senso della gente e causa del suo stile enfatico e impudico. In Italia è diventato il capo del governo. Ed è difficile trovare un più completo esempio italiano.

Ammiratore della forza, venale, corruttibile e corrotto, cattolico senza credere in Dio, presuntuoso, vanitoso, fintamente bonario, buon padre di famiglia ma con numerose amanti, si serve di coloro che disprezza, si circonda di disonesti, di bugiardi, di inetti, di profittatori; mimo abile, e tale da fare effetto su un pubblico volgare, ma, come ogni mimo, senza un proprio carattere, si immagina sempre di essere il personaggio che vuole rappresentare."

Indovinate chi ha scritto questo articolo su Berlusconi. Eugenio Scalfari su Repubblica? Lidia Ravera sull’Unità? Gabriele Polo sul Manifesto?

Dragor

Scritto alle 09:49 nella giornalismo | Permalink | Commenti (9)

03/03/10

Il lavoro non è tutto

Da quando è cominciata la crisi, c’è una quantità di poveracci che si suicidano perché hanno perso il lavoro. Sono delle vittime. A nessuno piace sentirsi escluso dalla società di cui fa parte e la nostra ci classifica secondo il lavoro che facciamo. Tu non sei Mario o Giovanni, non sei nemmeno un uomo ma sei un medico, un avvocato, un muratore, un artigiano, un commerciante, un professore, un giornalista, un operaio. Se perdi il lavoro, sei un disoccupato o peggio ancora un loser. Nei paesi anglosassoni “perdente” è usato come un insulto: hai 40 anni e non possiedi un rolex? Sei un loser. E se per caso non vuoi lavorare? Allora non esisti, se non per i moralisti ai quali non sembra vero di classificarti come sfaticato, poltrone, perdigiorno, parassita e scansafatiche. La pressione riguarda soprattutto gli uomini, perché le donne possono sempre cavarsela dichiarandosi madri o casalinghe. E’ rarissimo che si suicidino per avere perso il posto, anche perché in caso estremo possono sempre ripiegare sulla più antica professione del mondo e venire designate con titoli lusinghieri come hostess, escort, veline o massaggiatrici, prendendosi i soldi senza nemmeno doversi sorbire l’umiliazione di sentirsi chiamare con nomi più infamanti.

Questo culto del lavoro è profondamente sbagliato. In realtà l’uomo dà il meglio di se stesso quando si diverte. Il lavoro abbrutisce, la creatività si esercita nel gioco. 130 anni fa lo aveva capito benissimo Paul Lafargue, scrivendo nel suo celebre Diritto alla Pigrizia: “Una strana follia si è impadronita degli uomini: l’amore per il lavoro. Per rendersi conto della propria forza, bisogna che il proletariato calpesti i pregiudizi della morale cristiana, economica e libera pensatrice. Bisogna che torni ai suoi istinti naturali, che proclami il Diritto alla Pigrizia, mille volte più sacro dei tisici Diritti dell’Uomo, concepiti dagli avvocati della rivoluzione borghese. Che si costringa a lavorare non più di tre ore al giorno e a oziare o fare baldoria il resto del giorno e della notte.”

La gente dovrebbe possedere un’identità indipendente del lavoro. Soltanto così non avrebbe la sensazione di perderla quando fallisce o viene licenziata. A quei poveracci che vorrebbero suicidarsi perché con il lavoro hanno perso il loro status sociale, sono crivellati di debiti o semplicemente non sopportano lo sguardo accusatorio della moglie che non tollera di vederli ciondolare per casa, vorrei dire: “Ti capisco. So che è duro essere al tuo posto, però vorrei dirti che non hai motivo di perdere la stima di te stesso.Tu sei tu, qualunque cosa succeda. E’ la società che non merita la nostra stima. Abbiamo sacralizzato il lavoro al punto di ritenerci cacciati dal paradiso terrestre. Invece no, ci siamo ancora. Si tratta soltanto di saperlo vedere. Per il solo fatto di vivere, siamo tutti immensamente ricchi. Come c’insegna la storia del turista americano che interpella un messicano appoggiato al muro con il sombrero calato sugli occhi. “Che cosa fai?” domanda l’americano. “Dormo.” “Come, dormi? Dovresti lavorare.” “Perché?” “Per guadagnare dei soldi.” “E con i soldi che cosa faccio?” “Potrai andartene in vacanza.” “E in vacanza che cosa faccio?” “Potrai riposarti al sole.” “Ma è quello che sto facendo.”

Dragor

La pigrizia è il godimento di sé. Non sperate che vi sia accordata dai vostri padroni o dai loro dei (Raoul Vanaigem)

Scritto alle 08:10 nella Costume | Permalink | Commenti (17) | TrackBack (0)

02/03/10

I Nizzardi fanno la resistenza

Ieri una terribile notizia si è sparsa a Nizza: i russi vogliono smontare la chiesa russa di Saint Nicolas per ricostruirla nel Cremlino! Mai, hanno detto i nizzardi. Così hanno risposto all’appello dell’Associazione Culturale Ortodossa di Nizza (ACOR), in conflitto da 4 anni con la Federazione di Russia che intende ricuperare la cattedrale fatta costruire dallo zar Alessandro II, e sono accorsi da tutta la città per incatenarsi davanti all’entrata. Gli assassini dello zar no pasaràn!

________________________________________________________________________

__________________________________________________________________________

Dragor

Scritto alle 08:28 nella Nice | Permalink | Commenti (7) | TrackBack (0)

01/03/10

Chi ce l'ha più lungo?

In una società competitiva come quella occidentale non c’è da stupirsi che i maschi siano ossessionati dalla misura del pene. Per mettere la parola “fine” a ogni valutazione soggettiva, il dottor Eduardo Gomez de Diego, un medico spagnolo specialista in andrologia, ha effettuato uno straordinario studio, comparando i risultati delle ricerche di eminenti specialisti di vari paesi e giungendo alla conclusione che la lunghezza media del pene in azione è di 14 centimetri. Ma come diceva Trilussa, se tu hai 2 polli e io 0, per la statistica ne abbiamo 1 ciascuno. Come dimostra il dottor Gomes de Diego, la regola vale anche per la “misura”.