- HO DOPPIATO IL CAPO HORN e il Capo di Buona Speranza - dice il vecchio marinaio svizzero. - Ho affrontato i monsoni, i tifoni, i cicloni e gli uragani. Ho visto onde alte trenta metri, gorghi profondi cinquanta e la grande onda anomala, la tsunami. - Prende un pezzo di pane, lo intinge nella fonduta e se lo caccia in bocca. Mi affretto a imitarlo prima che se la mangi tutta e accompagno il boccone con un sorso di Pruneaux. Squisiti, quei bianchi del Léman. Peccato che non si possano esportare, si rovinano. - Ma sai che cosa di dico? Preferirei affrontarli tutti in una volta, il Capo Horn, il Capo di Buona Speranza, i monsoni, i cicloni, gli uragani, le onde, i gorghi, la tsunami piuttosto che affrontare una collera del lago.
- Una collera del lago?
- Sì, una collera del lago.
Prende un altro pezzo di pane e lo intinge nella fonduta.
- Com’è una collera del lago?
- Com’è? - Si caccia il pane in bocca. - Una collera del lago è… - Agita la mano facendo tremolare la fiammella della candela. - E’… - Agita di nuovo la mano e sembra preso dal panico. - Insomma, non si può descrivere una collera del lago. Devi vederla. Ma se la vedi, non potrai raccontarlo a nessuno.
LA BARCA SCIVOLA sull’acqua azzurra mentre il Léman si offre in tutto il suo splendore, uno scintillante gioiello incastonato nella mirabile cornice di montagne ornata dallo zampillo del Jet d’Eau simile a un immenso pennacchio iridescente. Dédé sta coricata a prua come un’odalisca con l’espressione languida di quando sembra dire “sono in pace con il mondo intero e voglio bene a tutti.” E pensare che di solito ha paura dell’acqua perché ha visto un tizio annegare nel Tanganyka. Formiamo un perfetto quadro impressionista, ci vorrebbe un Renoir o un Monet per dipingere i cerchi leggeri lasciati dai remi nell’acqua immobile.
- Ehi! - protesta lei all’improvviso, asciugandosi una guancia.
- Che cosa c’è?
- Mi hai bagnato. Fa’ attenzione a come remi.
- Ma io non…
- Ehi!
Un altro schizzo. Guardo la superficie del lago, è tutta increspata. Si è anche alzato il vento.
- Forse ci conviene tornare - dico, scrutando la riva in cerca del pontile delle Eaux Vives.
Ma che cosa succede? Non c’è più traccia del pontile. Vedo una costa estranea e mi sembra di riconoscere in distanza il campanile di Cologny. Una corrente deve averci trascinato lontano. Giro la barca per remare verso le Eaux Vives ma la corrente continua a trascinarci nella direzione opposta.
Cerco di guadagnare la costa più vicina, ma la corrente ci trascina al largo. E il cielo, che fino a poco prima era di un azzurro immacolato, è diventato nero. Non completamente, qua e là ci sono degli squarci dai quali piovono lividi fasci di luce che disegnano chiazze altrettanto livide sulla superficie del lago pure nera. Altro che Monet, adesso ci vorrebbe Böcklin. Le onde si sono gonfiate ancora e continuano a crescere. Tira un vento gelato che strappa dalle loro creste delle bave di spuma e ce le sbatte in faccia. Le onde cominciano a rovesciarsi nella barca.
- Aiuto! - grida Dédé.
Cerco di prendere le onde di prua, ma arrivano da tutte le direzioni. Che cos’è questa storia? In mare le onde arrivano da una sola parte e puoi scalare anche le più alte. Qui sembra che un gigante stia scuotendo l’acqua provocando un subbuglio imprevedibile.
- Gilet! - grido nell’urlo del vento.
Indossiamo i gilet di salvataggio. Avevamo creduto di poterne fare a meno, ma non è il caso. Le onde sono diventate montagne e sballottano la barca come un tappo. E non basta, perché orribili gorghi neri si spalancano all’improvviso, scavando insondabili baratri nelle misteriose profondità del lago. Uno stormo di mouettes, i gabbiani del posto, ruota sopra di noi stridendo come per dire vi sbrigate ad annegare? Vogliamo metterci a tavola.
E allora, in quel cielo di pece, in quella luce livida, in quel tumulto di onde, in quel vento gelato, in quei gorghi senza fine, capisco che sto vedendo la collera del lago. Ci siamo in mezzo. Le onde si rovesciano nella barca, Dedé è bianca di paura. Lascio i remi ormai inutili e cerco di togliere l’acqua con le mani, ma per una goccia che esce ne entra un barile. Ormai è questione di minuti: o affondiamo o ci rovesciamo.
No c’è una terza alternativa. Una mouette, ma non di quelle volanti. Uno di quei battelli che a Ginevra si chiamano mouettes. Qualcuno ci ha visto da riva e ha dato l’allarme. Cavalcando le onde con il suo potente motore, la mouette si avvicina e qualcuno ci lancia una cima. L’afferro e ci tirano a bordo mentre la barca scompare in un gorgo. Il vecchio marinaio si è sbagliato. Ho visto la collera del lago e l’ho descritta.
Dragor
Magistrale descrizione, Dragor.
Un racconto da superstiti. Pieno di emozione fortissima.
Leggendoti, ho trovato le parole che erano nascoste dentro di me. Che non ho mai saputo metter su un foglio, anche se l'ho raccontato qualche volta a voce. Ma mai con quella capacità di rendere la tensione, il pericolo, la paura, la rabbia - in un concetto, l'istinto di sopravvivenza - che dimostri qui.
Ho vissuto qualcosa di simile, tanti anni fa, con la mia cara compagna di viaggio dell'epoca. Venti e passa anni fa, in Svezia, in un fiordo, una barchetta a remi ed una bufera che si avvicina dal mare aperto, una cortina di pioggia spessa come una tenda di palcoscenico che avanza col vento verso di noi, in mezzo a quel fiordo, la terra lontana da ambo i lati.
Ho lottato per un'ora con i remi per tenere la barca perpendicolare al moto ondoso. Siamo finalmente arrivati a terra, spinti dal mare, fradici fin dentro le scarpe, chilometri lontano dall'approdo. Poi una capanna, per ripararsi, asciugarsi e riscaldarsi. E poi gli stessi chilometri, a piedi, per tornare allo chalet che ci ospitava. Vicino a Uddevalla. Che ricordi.
Grazie per questo potentissimo racconto, Dragor. Siamo dei sopravvissuti. Alla furia dell'acqua. Mare, lago, la potenza è con loro. Noi possiamo solo cercare di farcela, con le nostre esigue forze.
Ciao, a presto,
HP
Scritto da: Homing Pigeon | 09/02/11 a 12:48
Che storia... Non pensavo che il Lemano celasse una natura così oscura: visto da riva, da Losanna come da Ginevra, la sue acque sembrano placide e serene. I laghi però possono essere delle trappole, è la sensazione che ho avuto navigando sul lago di Costanza che sembra un piccolo mare.
A un certo punto del racconto ho pensato che avresti placato la tempesta come Gesù sul lago di Tiberiade... :-)
Scritto da: Pim | 09/02/11 a 15:27
Che racconto terribilmente affascinante!
Peccato che stavate sul serio rischiando la pelle, se non fossero arrivati i soccorsi.
Se un giorno capiterò in Rwanda....mi dovrai raccontare tante storie come questa e altre nelle interminabili sere africane.
Io amo ascoltare, specie poi se il narratore è "super" come te!
Grazie.
Marianna
Scritto da: marianna06 | 09/02/11 a 23:32
Grazie, HP, per avere condiviso questo ricordo svedese che mi ha ricordato il mio tentativo di andare da Copenhaghen a Malmoe in bicicletta scavalcando il Sund. Abbiamo rischiato tutti e due di lasciare la pelle in Svezia. Un'altra cosa che ci accomuna, per fortuna nell'al di qua :-)
A presto
dragor (journal intime)
Scritto da: dragor | 10/02/11 a 13:49
Pim, oggettivamente le burrasche del lago sono meno possenti di quelle del mare, ma per qualche motivo mi sembrano più spaventose. Ho visto il mare infuriato dalle navi, dalla terra e dalla barca, e mi è parso molto divertente. Ma il lago infuriato mi dà i brividi e non sono il solo.
A presto, buona giornata
dragor (journal intime)
Scritto da: dragor | 10/02/11 a 13:54
Cara Marianna, fingeremo che la TV non esista e passeremo lunghe serate a raccontarci storie. Come quelle che ci raccontavamo anni fa nelle serate du Bujumbura. In mancanza d'altro, si viveva di storie. A casa di Dédé, che frequentavo a quel tempo, ho conosciuto un tizio che faceva il giro delle case raccontando a memoria I Miserabili e I 3 Moschettieri in cambio di un piatto di riso e fagioli. Raccontava in kinyarwanda, ma mi assicuravano che era fedelissimo all'originale.
Grazie per avermi letto. Un abbraccio affettuoso, a presto
dragor (journal intime)
Scritto da: dragor | 10/02/11 a 14:03
Questo post è un capolavoro letterario.
Complimenti.
Lo stamperò e lo terrò fra i 'pezzi' che vale la pena di tenere e rileggere.
Tesea
Scritto da: Tesea | 11/02/11 a 18:07