TERZA E ULTIMA PUNTATA. RIASSUNTO DELLE PUNTATE PRECEDENTI (QUI E QUI):
Mentre se ne va a spasso nei vicoli del Barrio Gotico a Barcellona, Dragor entra in una bottega di libri usati. Là uno strano libraio gli dice che le case lasciate da Antoni Gaudì a Barcellona sono sette e non sei come comunemente si crede. Poi lo sorprende rivolgendogli una domanda straordinaria: come si chiama la sua bisnonna? Finalmente gli dà appuntamento per vedere la Settima Casa, rimasta fino a quel momento segreta. Dopo una lunghissima marcia nell'Eixample, il libraio apre un portone scricchiolante rivelando un buco nero...
Brancolai nel buio sperando di non cadere in un trabocchetto dal fondo irto di spunzoni aguzzi. Forse quel tizio era un maniaco che usava attirare le sue vittime in una trappola mortale con la lusinga della Settima Casa. Procedetti con le braccia tese come un sonnambulo e mi parve di camminare per chilometri, ma in realtà non dovetti percorrere più di venti metri in quell'oscurità impenetrabile. Quando sbucammo dall’altra parte di quello che doveva essere un passaggio attraverso l'edificio, mi ritrovai miracolosamente indenne. Benché ora fossimo all'aperto, la visibilità non sembrava migliorata in modo apprezzabile. Il cortile al centro dell’isolato era delimitato da ombre nere che si delineavano in modo appena percettibile sullo sfondo del cielo un po’ meno nero. Non si vedeva nemmeno una stella, le nuvole dovevano coprire ogni astro.
- Gaudì ha comprato tutto l’isolato e sfrattato gli abitanti - m’informò il mio compagno. - Da quando è stata costruita la casa, nessuno è mai entrato in questo cortile.
- Non si vede niente - protestai. - Dov’è l’interruttore della luce?
- Non c’è - rispose il libraio, quindi puntò il dito verso l’alto.
Allora capii il significato delle sue parole di qualche ora prima, si el tiempo no lo impide. Cosi' eravamo andati in quel remoto recesso dell’Eixample solamente per aspettare i comodi della luna? E se non fosse comparsa? Avrei dovuto rifare il cammino inverso senz’avere visto la Settima Casa di Gaudì?
Come rispondendo alla mia muta domanda, in quel momento le nuvole si assottigliarono rivelando il disco d’argento appena velato da diafani lembi di vapore. E a quel chiarore arcano, leggermente mosso dalle fuggevoli ombre prodotte dal passaggio delle nubi, a quel chiarore lattescente che da un momento all'altro aveva trasformato il tenebroso cortile in un magico regno di tutte le fantasie, la vidi... la Settima Casa.
Il mio cuore eseguì un tuffo, poi parve fermarsi, poi si scatenò in una specie di rock. Nessuna parola potrà mai descrivere fedelmente lo spettacolo che si era offerto ai miei occhi. Era uno di quegli spettacoli che possono cambiare il destino, una pietra miliare nell'esistenza, una scoperta cosi' unica e meravigliosa che avrebbe spartito la vita di qualunque spettatore in prima e dopo. La guardai affascinato in silenzio e a un tratto mi accorsi di avere il viso bagnato. Stavo piangendo... autentiche lacrime di commozione e di meraviglia.
L’ingresso era formato da due gigantesche colonne di roccia grezza collocate in diagonali convergenti, simultaneamente colonne portanti e contrafforti con un chiaro riferimento alla capilla di Santa Coloma de Cervellò, un edificio purtroppo incompiuto che però rappresenta la più sublime espressione del Gaudì più compiuto. Queste due colonne, fiancheggianti una mostruosa griglia di ferro battuto con draghi e altre creature fantastiche che ricordava quella quella Finca Güell, sostenevano un architrave pure di roccia che sembrava strappato da una montagna e scaraventato là da una forza brutale. E l’architrave sosteneva... come posso descriverlo? La più folle sinfonia di colori, forme, mosaici, intarsi che si fosse mai vista sulla faccia della terra, senza una sola linea curva. Si vedevano soltanto linee diritte, spigoli, angoli, come nella prima casa di Gaudì, la casa Vicens. In compenso il secondo e il terzo piano sembravano trasportati sopra il primo dal Mato Grosso, perché soltanto nella giungla amazzonica si sarebbe potuto vedere un simile intrico vegetale e animale, una così pazzesca esplosione della natura con forme bizzarre, contorte e surreali, serpenti, lucertole, tartarughe, ragni, chimere, millepiedi, oltre a strane creature in parte animali e in parte oggetti che sembravano ispirate dai quadri di Bosch, simili a quelle si vedono sulle guglie della Sagrada Familia ma mille volte più fantastiche e paurose. Alzai lo sguardo sul quarto piano e vidi il mare, l’Oceano in tutta la sua spaventosa potenza, non le onde tranquille della casa Milà ma tsunami dalle creste dilaniate dal vento che sembravano avventarsi sull’osservatore per travolgerlo con orribili gorghi spumeggianti, un oceano infuriato con le ringhiere dei balconi che parevano le lacere vele dell’Olandese Volante agitate dal vento della tempesta. E gli ultimi due piani...
Gli ultimi due piani erano il trionfo di una follia così geniale che nessuna parola potrà mai descriverla fedelmente. Due immense finestre ai lati e una lunga finestra che solcava tutto l’edificio fino all’altezza del secondo piano, sormontate da una selva di comignoli che si prolungavano come fantastici pinnacoli descrivendo curve fantasiose, ardite spirali, ellissi impossibili contro il pallido sfondo argenteo del cielo, ritorte sagome tormentate simili alla Danza Macabra dipinta sulla parete di una chiesa di campagna danese. In quel momento una nuvola passò davanti alla luna e al mutevole gioco di luci e ombre vidi qualcosa che vi fece rabbrividire mentre un sudore gelido mi copriva il corpo sotto i vestiti. Perché, mentre le ombre spettrali si alternavano sulla casa in elusivi chiaroscuri d’argento e inchiostro, vidi che, nel loro complesso, tutte quelle straordinarie forme della facciata non erano state ideate a caso, ma ciascuna contribuiva a riprodurre una faccia... un viso di donna!
Fu un’impressione cosi' fugace che credetti di essermela immaginata, perché un momento dopo la luna sparì nuovamente dietro le nubi e la casa divenne invisibile mentre il cortile sprofondava nuovamente nelle tenebre. Ma c’era una spiegazione, pensai respirando con affanno, ancora sotto shock per quella straordinaria rivelazione, mentre cercavo disperatamente di aggrapparmi alla ragione come se fosse un'ancora di salvezza. Certo, c’era una spiegazione, doveva esserci. Dopo avere sperimentato le forme minerali, vegetali e animali, dopo avere riassunto in un solo edificio tutta la storia della sua arte, il Maestro... si era cimentato con la forma umana.
- Tenga - mi disse il mio compagno mettendomi qualcosa in mano.
Era buio e non vidi niente, ma al tatto sentii che mi aveva dato una grossa busta e una chiave.
- Che cos’è questa roba? - domandai. Non ricevetti risposta. - Si può sapere che cos’è?
Brancolai intorno, ma non trovai nessuno. Il tizio sembrava sparito. Mi accinsi a chiamarlo e soltanto allora mi resi conto che non conoscevo il suo nome.
- Ehi, torni indietro! - gridai. - Che cosa sta combinando?
Silenzio.
- Torni indietro! - gridai di nuovo. - Non so nemmeno come si chiama!
E allora, da molto lontano, mi parve di sentire una voce. E quella voce disse un nome.
Ma non posso riferirvelo, perché mi prendereste per matto. Vi basti sapere che in quel momento perfino io dubitai delle mie facoltà mentali.
Accidenti al buio, pensai mentre cercavo il passaggio per lasciare il cortile dell’isolato e tornare nella via. Quando fui riuscito a guadagnare il marciapiede, mi domandai a che cosa servisse la chiave. Forse... Tastai il portone in cerca della serratura e vi infilai la chiave. Entrò senza difficoltà. Quando ebbi richiuso il portone, girai faticosamente la chiave e sentii scattare la serratura che bloccava l'ingresso. Così quel tizio mi aveva dato la chiave di casa. Ma perché?
Mi occorreva un po’ di luce. Mi avviai nella direzione opposta a quella in cui presumibilmente ero venuto e camminai per quelle che mi parvero ore. Dov’erano finiti i lampioni? Finalmente vidi in distanza un punto luminoso e capii di essermi riconnesso con la civiltà.
Come fui sotto il lampione, lacerai la busta con le mani tremanti d’impazienza. Conteneva alcuni fogli ingialliti e un’altra busta più piccola. Spiegai il primo foglio. Era scritto a mano con una grafia antiquata, portava la data 6 giugno 1926 ed era intitolato: Codicillo al testamento di Antoni Gaudì i Cornet.
Ai miei occhi increduli, rischiarato dalla luce giallognola del vecchio lampione, si offrì il testo che riporto fedelmente.
Io sottoscritto Antoni Gaudì i Cornet, in pieno possesso delle mie facoltà mentali, aggiungo questa clausola al mio testamento depositato presso... (seguiva il nome di uno studio notarile di Barcellona). La presente busta dovrà essere aperta solamente dopo la mia morte da una persona che discenda in linea diretta da Jacqueline Albert-Llorca, vedova Soulié.
Il nome della mia bisnonna! Com’era possibile che Antoni Gaudì avesse conosciuto la mia bisnonna? Continuai a leggere.
Ho peccato e domando perdono a Dio. Per il resto della mia vita ho cercato di espiare la mia colpa...
Sapevo che Gaudì era stato molto religioso, e in effetti la chiesa da lui progettata si chiama Templo Expiatorio de la Sagrada Familia. Ma di quale peccato stava parlando?
Purtroppo il male è già stato fatto. Nella speranza di rimediare almeno in parte, posso soltanto costruire una casa che rappresenta il compendio di tutte la mia arte e farne dono a una persona che discenda in linea diretta da Jacqueline Albert-Llorca.
Non credetti ai miei occhi. Quale rapporto aveva legato la mia bisnonna al Maestro? Era stata sicuramente a Barcellona, ma...
La busta più piccola era indirizzata al signor Antoni Gaudì i Cornet, architetto, 17 Carrer Call. L’aprii e ne tolsi un foglio ingiallito. Era una lettera scritta con un’antiquata grafia inclinata a destra. Sbirciai istintivamente la firma. Jacqueline.
La mia bisnonna! Lessi la lettera come in sogno.
Perpignan, 25 settembre 1882
Antoni, querido, sono disperata. Papà si rifiuta di ascoltarmi, dice che devo sposare Paul Soulié, che siamo già fidanzati, che la famiglia di Paul è d’accordo. Antoni, mi amor y vida, sai che in altre circostanze scapperei a Barcellona per vivere con te per sempre. Lo sai, vero, mio caro? Ma non posso, amore mio, perché tu mi hai già detto che devi consacrarti alla tua arte, che attualmente non puoi sobbarcarti la responsabilità di una moglie e di... un figlio. E il nostro amore, querido, ha lasciato una prova tangibile che porto nel mio grembo.
Così, querido, non mi resta che sposare Paul Soulié al più presto, per fargli credere che nostro figlio sia suo. Immagina lo scandalo, altrimenti! Mi caccerebbero di casa e il bambino, tuo figlio, crescerebbe nella miseria e negli stenti. E’ anche per il suo bene che accetto di sposare Paul.
Ma non dimenticherò mai il nostro amore, Antoni adorato. Puoi star sicuro che il bambino, se sarà un maschio, si chiamerà Antoine. Se sarà una femmina, Antoinette...
Le righe si confusero davanti ai miei occhi. Mio nonno si chiamava Antoine.
Camminai come un automa, cercando la strada del mio albergo. Avevo già percorso un lungo tratto quando ricordai che non conoscevo l’indirizzo della casa. In quel buio pesto non avevo potuto leggere i nomi delle vie e dopo aver trovato i lampioni me n’ero semplicemente scordato. Tuttavia doveva essere scritto da qualche parte in quel fascio di documenti e in ogni caso il libraio lo conosceva. Per il momento, sfinito per la lunga marcia e per le emozioni di quella straordinaria notte, volevo soltanto dormire...
Finalmente trovai un taxi in servizio notturno e mi feci portare all’albergo. Salii in camera, crollai sul letto e sprofondai in un sonno di piombo come la mia testa ebbe toccato il cuscino. Quanto mi svegliai, era giorno fatto. Mi vestii in fretta e furia, poi mi precipitai nel Barrio Gotico, pardon nel Barri Gotic, senza nemmeno avere fatto colazione. Una sola domanda dominava i miei pensieri: chi era il libraio?
Almeno in questo caso conoscevo l’indirizzo, Carrer del Duc de La Victoria, 8. Arrivai nel vicolo e trovai facilmente la libreria. O meglio, quella che avrebbe dovuto essere una libreria. Perché al suo posto c’era un magazzino abbandonato. L’ho anche fotografato, potete vederlo qui a sinistra. Chiesi ai negozianti vicini dov’era finita la libreria e mi guardarono come se avessi due teste. “Libreria?” ripeté una decrepita merciaia. “Fino a dieci anni fa c’era una rivendita di vino. Dopo la morte di Miguel il negozio è rimasto sfitto...”
Non mi restava che accettare la realtà: il libraio era sparito, sempre che non me lo fossi sognato. Ma i documenti che avevo in albergo erano reali, come la chiave. Nessuno poteva portarmi via la Settima Casa. L’avrei rivelata al mondo e sarei diventato famoso, l’avrei fatta visitare a pagamento come oggi si visita la casa Milà. Tornai in albergo, passai i documenti al setaccio e dopo due ore dovetti accettare un’altra realtà: l’indirizzo non c’era. In compenso c’era l’indirizzo dello studio legale: calle Caspe, 12. Andai al 12 di calle Caspe e trovai un’agenzia turistica. Che avessero traslocato? Cercai sull’elenco del telefono uno studio legale con quel nome e non lo trovai. C’erano tutti i nomi possibili, meno quello che cercavo.
Pero' mi restava la chiave. Eccola, potete vederla nella fotografia. Dovevo soltanto trovare la casa, cosi' mi misi alla ricerca. Da quel giorno sono passati non so quanti anni e sto ancora cercando. Fino a quando dovro' errare nell'immensità dell'Eixample alla ricerca di una via senza nome, di una porta che la mia chiave possa aprire, all'inseguimento di un sogno?
Dragor
BUON NATALE A TUTTI!
.
Ultimi commenti