Scritto alle 16:30 nella africa, diario personale | Permalink | Commenti (1)
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MI PIACE vedere dei vecchi film di notte. La notte è uno spazio propizio alla fiction perché la pressione della realtà è più leggera. Uno spazio magico che si può riempire con la fantasia senza il rischio di essere traumaticamente richiamati a risolvere qualche stupido problema come quelli che la cosiddetta realtà oggettiva sforna a getto continuo. Così l'altra notte sono finito su Il Mondo di Suzie Wong, un vecchio film americano del 1960, un'ignobile sbrodolata romantica. Ho trovato due soli motivi d'interesse.
IL PRIMO, poiché gli esterni sono girati sul posto, si può vedere la Hong Kong del 1960. Le vie, i traghetti, il porto, i bus e soprattutto le colline non ancora irte di grattacieli come oggi. Al loro posto c'erano delle favelas al cui confronto quelle di Rio sembrano Knightbridge.
SECONDO MOTIVO, l'abbigliamento. William Holden, che nel film è un pittore, circola per Hong Kong in completo grigio, camicia bianca e cravatta. Una tenuta che inchioda decisamente il film a un'epoca lontana nella quale l'abbigliamento casual faceva i primi timidi passi e non si era ancora generalizzato, tanto che un artista si veste come un impiegato di banca. E a Hong Kong oltre a tutto.
M A UN CERTO PUNTO succede una cosa interessante. Suzie Wong sparisce e sappiamo, come, nei film dell'epoca, decadono gli uomini che perdono l'anima gemella e vanno disperati alla sua ricerca. Capelli arruffati, abiti spiegazzati, barba lunga, niente cravatta, camicia sbottonata. Questo è il look di William Holden mentre cerca Suzie Wong per tutta Hong Kong. E questo look mi ha dato una strana impressione di modernità. Mi sono scervellato per scoprire la ragione e finalmente ce l'ho fatta. Ma certo, sembrava il look di un mannequin Armani!
IL BARBONE di ieri è il mannequin di oggi. Segno di un allentamento delle pressioni formali. E forse, potrebbe pensare qualcuno confrontando i rigidi codici comportamentali di allora con il generale permissivismo di oggi, anche di quelle morali.
Dragor
Scritto alle 20:53 nella Cinema, diario personale | Permalink | Commenti (6)
Tag: cinema, suzie wong
HANS, di cui ho parlato in molti post, non è soltanto un grande scienziato, una persona squisita e un amico ma anche la colonna della comunità rwandese a Copenaghen. Ci siamo conosciuti nel 1996, quando il Rwanda si stava ancora leccando le ferite del genocidio e combatteva in Zaire le forze razziste che volevano restaurare l'ancien régime. Da allora è diventato come un nonno per mia figlia, un punto di riferimento per i Rwandesi in Danimarca e perfino mio cognato, avendo sposato una sorella di mia moglie.
ECCO PERCHE' il suo novantesimo compleanno è diventato il pretesto per una grande riunione familiare che ricorda quella del 2007, organizzata dallo stesso Hans, quando oltre 60 membri della nostra famiglia venuti dal mondo intero si sono riuniti a Faslded, un villaggio del Syddanmark, alloggiando in una fattoria del XVII secolo. La riunione del 2014,in occasione della festa di compleanno di Hans, si è svolta nella chiesa gestita da mia cognata Dative dove i Rwandesi usano riunirsi una volta alla settimana per pregare, predicare, ballare, mangiare e chiacchierare.
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Hans e Dative al clou della cerimonia, quando la predicatrice alle loro spalle, che è anche una favolosa cantante, rivolge loro gli auguri a nome della famiglia e della comunità rwandese.
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La sala era piena di famiglia e amici
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Fra i quali la bionda donna della mia vita
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Un figlio di Hans fa gli auguri a suo padre mentre sulla parete sfilano le immagini della vita di Hans.
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Poi viene il momento delle congratulazioni
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E del buffet al quale ho dato un valido contributo sbucciando il giorno prima almeno 2 tonnellate di banane verdi, fra cui quelle che vedete in primo piano
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Educatissimi, i bambini mangiano a un tavolo allestito apposta per loro.
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Mentre gli adulti fanno ordinatamente la fila per servirsi
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Mia moglie con una sorella e una nipote.
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E più tardi la malinconia sottile della fine del giorno di festa, simile a quella di Natale quando si sono aperti i doni e il nonno si è addormentato sulla poltrona. Quando ci rivedremo? Non lo sappiamo.
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E' lui la speranza per il futuro . Fra le persone venute alla festa, ne ho conosciute molte quando avevano la sua età. Oggi sono sposate con figli.
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Dragor
Scritto alle 10:59 nella diario personale | Permalink | Commenti (6)
Tag: compleanno, Copenaghen, Danimarca, Rwanda
ADORO passeggiare a Copenaghen. Fra l’altro questa città è il paradiso della bicicletta, il mio mezzo di trasporto preferito. E’ un piacere riscoprire con mia figlia e il mio nipotino i luoghi che amo. Lei crede di farmi da guida e io fingo di non sapere niente anche se conosco la città a memoria. Ha dimenticato che nemmeno molti anni fa ero io a portarla per parchi e musei, a offrirle indimenticabili emozioni al Tivoli. Tanto meglio, adesso lei ricambia il favore. E’ la mia guida e io sono un turista felice. E’ commovente vedere come i danesi offrono il viso alla carezza del primo sole. Finito il lungo, gelido inverno con le sue giornate buie e il vento in diretta dal Polo Nord. Ci aspetta la breve estate nordica, densa di fiori, fieno, api, farfalle e danze nella quale dovremo concentrare tutti i nostri amori prima l’inverno cali di nuovo la sua cappa.
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I gay hannno adornato la Radhusplatsen di palloncini rosa per festeggiare la primavera.
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E dopo la Radhuspladsen, due passi nello Strøget. Si vede un edificio vagamente vittoriano mentre quello sulla sinistra rivela influenze toscane.
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Andersen Boulevard, la classe!
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Un danese che amo, Hans Christian Andersen. A Odense ho visitato la sua casa natale.
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Un danese che detesto, Søren Kirkegaard. E' talmente falso che riesce a ingannare perfino se stesso.
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Questo edifico di Andersen Boulevard ricorda il georgiano di Londra.
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Ma il più bell'edificio storico della città è sicuramente la Borsa in stile Rinascimento olandese. Da notare la straordinaria guglia a spirale.
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Se vi piace l'architettura espressionista, ecco qui la Grundtvig Kirke dell'architetto Peder Vilhelm Jensen Klint. Non è propriamente espressionista, dato che la sua forma s’ispira a quella delle chiese di campagna danesi. Ma essendo stata concepita da gente che fa dell’espressionismo anche giocando con il Lego, è più espressionista di molte opere di maestri dell’espressionismo come Steiner, Behrens, Poelzig.
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Un salto nell'ex Palazzo Reale, oggi sede del Parlamento, per vedere il mio tavolo preferito. Ne avrei bisogno per invitare tutta la mia famiglia.
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Nel quartiere di Gentofte, vicino alla casa di mia figlia, c'è un piccolo lago. Questo è il posto dei cigni.
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Il lago è contornato da una strada che si puo' percorrere a piedi se avete voglia di fare jogging oppure in bicicletta. Sulla destra potete vedere un pezzo della mia. Il tizio che arriva con il marmocchio, felicissimo di essere immortalato nella foto, è a 2 secondi da un cordiale "hej". In questi posti è obbligatorio salutarsi. I danesi sono dolcissimi, sembra impossibile che i loro antenati abbiano terrorizzato tutto il Nord Europa.
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Vicino al lago c'è una foresta talmente grande che ogni volta mi perdo. Sentirsi Indiana Jones nel cuore della città, succede soltanto a Copenaghen.
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Per fortuna la foresta è solcata da piste ciclabili
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Nella foresta c'è un piccolo lago segreto. L'ho visto una volta sola, poi non l'ho più trovato. Me lo sono sognato? No, direte voi, lo hai fotografato. Eppure...
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Dopo la passeggiata, dove si va a pranzo? La risposta è una sola: Nyhaven! Ci sono ristoranti per tutti i gusti, l'atmosfera è allegra e conviviale.
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Dragor
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A VOLTE NELLA VITA ti capita di avere reazioni emotive di cui non ti saresti mai creduto capace. Antefatto: l'amico libanese della mia figlia danese, che non accetta di essere scaricato, si è introdotto nella sua casa e l'ha aggredita con un cutter, tagliuzzandole le braccia e il viso. Mia figlia, che di statura fa 1,82, si è difesa bravamente con il risultato che sono finiti tutti e due all'ospedale. Così sono volato a Copenaghen con mia moglie per occuparmi del mio nipotino. Adesso mia figlia è uscita dall'ospedale e sta con noi. Ieri sera sera l'arabo (il nome gli si addice perché è un islamico che ha accettato l'identità arabo-musulmana rinnegando quella libanese) ci ha bombardato di telefonate. Siccome non gli ha risposto nessuno, ha suonato alla porta. « Accostate le tende» , ho ordinato (le case danesi sono sprovviste di imposte perché da queste parti il sole è così prezioso che a nessuno salterebbe in mente di escluderlo), quindi ho spedito mia moglie presso il recinto per proteggere il bambino e ho detto a mia figlia di chiudere la porta d'ingresso con la catena. In fin dei conti sono un esperto di assedi. Qualche anno fa un'amica di mia moglie si è rifugiata da noi per sfuggire alla persecuzione del suo ex algerino e prima ancora abbiamo ospitato un'altra amica tunisina che voleva scappare in Inghilterra per sfuggire alla famiglia che voleva ucciderla per avere rifiutato il matrimonio con un cugino.
IL TIZIO ha suonato più volte il campanello, poi ha bussato, poi ha pestato il pugno sulla porta, poi si è messo a gridare «fammi entrare, so che sei lì.» «Vaffanculo» gli ho risposto. Le donne erano bianche di paura, il bambino strillava come un'aquila. Ho preso il cellulare per chiamare la polizia (il tizio ha il divieto di avvicinarsi alla casa di mia figlia), ho spento la luce e ho scostato la tenda per sbirciare fuori. Non c'era nessuno. «Vuoi vedere che ha seguito il mio consiglio?» ho detto. Ho aspettato ancora un momento, poi ho tolto la catena e socchiuso la porta. Non c'era nessuno ma qualcuno aveva deposto sui gradini d'ingresso un piccolo mazzo di fiori, 4 o 5 roselline dozzinali. C'era anche un biglietto: «Je t'aime, mon bébé.»
SONO RIENTRATO in casa e ho mostrato il mazzo a mia figlia. «Aaaaaah!», ha strillato lei come se avesse visto un serpente. «Buttalo nella spazzatura!» Sono andato in cucina e ho gettato il mazzo nel bidone della spazzatura, quei patetici fiori in un involucro spiegazzato con il loro biglietto scritto da una mano incerta, je t'aime mon bébé. E a questo punto ho avuto una sorpresa: mi si era stretta la gola. Poi ne ho avuto un'altra: avevo gli occhi umidi e sulle guance sentivo l'inequivocabile tocco delle lacrime. Anche se c'è stata violenza, anche se la vittima è tua figlia, la fine di un amore è sempre triste. «E il mare cancella sulla sabbia le orme degli amanti divisi...»
Dragor
Scritto alle 02:12 nella diario personale | Permalink | Commenti (17) | TrackBack (0)
Tag: diario personale
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Il razzista è l'altro !
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DOPO L’AFFARE della ministra Taubira paragonata a una scimmia, in Francia non si parla che di razzismo. Avendo una moglie nera e 2 figlie meticce, sono ben piazzato per rispondere alla domanda del titolo. Infatti mia moglie è un test ambulante. Dopo 25 anni di permanenza sul suolo francese si dichiara insultata dai bianchi 2 volte: la prima in un supermercato quando ha rifiutato una perquisizione davanti a tutti, la seconda al lavoro quando una collega ha fatto apprezzamenti poco lusinghieri sui negri. Entrambe le volte ha sporto denuncia e ottenuto soddisfazione. In compenso ha perso il conto delle volte che è stata offesa dai magrebini. Ya kaloush (schiava, come i magrebini chiamano i neri) in ogni occasione: al lavoro, per la strada, nelle code, in macchina.
UNA VOLTA sono stato testimone. Eravamo seduti sulla terrazza di un bar in cours Belsunce a Marsiglia e una tizia velata dalla testa ai piedi si è fermata davanti a noi vomitando un torrente di parole arabe, poi se n’è andata con aria indignata. «Che cos’ha detto?», ho chiesto all’arabo seduto al tavolo vicino (incidentalmente mia moglie era l’unica donna seduta alla terrazza del bar). «Ha detto che una ‘sorella’ non deve sedersi in un bar, meno che mai con un kafir (infedele).» Evidentemente l’aveva presa per un’araba del Sud e in questo caso la vittima della discriminazione ero io. Per fortuna non ha capito che sono ebreo, le sarebbe venuto un colpo.
ANCHE MIA FIGLIA è un test, per quanto abbia la pelle più chiara di mia moglie (che in ogni caso ha un delizioso color latte appena imbrunito da una goccia di caffè) e i capelli biondo-rossi. Sto parlando di quella che vive in Francia, l’altra sta in Danimarca e per il test non conta. Offese ricevute dai bianchi: 0. Ma una volta a 8 anni è stata aggredita nella mensa scolastica da un marmocchio islamico che le rifiutava il diritto di mangiare braciole di maiale (a quell’epoca le servivano ancora, oggi è tutto halal). Siccome mia figlia studiava il taekwondo e a quell’età era già alta quasi come sua madre, il marmocchio si è preso un calcio in mezzo alle gambe. Il giorno dopo sono stato convocato dalla direttrice a un colloquio con la madre e in 3 minuti ho fatto un‘incredibile collezione di insulti razzisti, sessisti e generalisti. Ho chiesto alla direttrice se era il caso di sporgere denuncia e lei ha scrollato la testa con un sospiro.
POI C’E’ IL CASO DI JENNIFER, una compagna ebrea di mia figlia. Jennifer era diventata la vittima di tutti gli islamici della classe. Le hanno cambiato classe, ma si è ritrovata con altri islamici e la situazione non è cambiata. Alla fine la poveraccia ha dovuto lasciare la scuola media Vernier e iscriversi a una scuola privata.
LE STATISTICHE CONFERMANO la mia percezione. Secondo il presidente della LICRA (Ligue Internationale contre le Racisme e l'Antisémitisme), nel 2012 il 100 per 100 degli oltre mille atti antisemiti denunciati alla polizia è stato commesso da musulmani. In compenso si registrano 157 atti di razzismo commessi da bianchi contro neri o arabi. Stranamente, gli atti di razzismo dei magrebini contro bianchi e neri non vengono considerati. Per rispondere alla domanda del titolo, possiamo dedurne che il razzismo francese è soprattutto d’importazione. Mentre il governo dà la caccia agli skinheads.
Dragor
Scritto alle 11:22 nella Attualità, Costume, Diario personale, diario personale | Permalink | Commenti (17)
Tag: antisemitismo, Francia, islam, Razzismo
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CARI AMICI, immaginate un vasto soggiorno in un immobile borghese del quartiere di Fredriksberg a Copenhagen. I numerosi adulti seduti attorno alla lunga tavola con i resti di una cena dano-rwandese, gli ancora più numerosi i bambini seduti attorno a tavolini allestiti per l’occasione. Presso il grande albero di Natale, un autentico abete decorato con palle, ghirlande e candeline, la piccola Fiona, asso del flauto dolce, sta suonando melodie natalizie accompagnata da un tizio che suona un organo elettrico. E’ una scena idillica, un Natale perfetto. Cosi’ sta pensando il tizio mentre esegue gli accordi di Stille Nacht, seguendo la toccante melodia tessuta dal flauto dolce contralto che la piccola Fiona sa far cantare come una voce umana. Mentre suona, il tizio respira profondamente il buon odore di resina dell’abete misto a quello dei resti alimentari e questo odore gli evoca ricordi antichi. Ogni tanto sbircia le sue 2 figlie che stanno parlottando e ridacchiando come se avessero cessato di farsi la guerra. E’ cosi’ felice che pensa: felicità è suonare carole la sera della vigilia di Natale con la sua nipotina di 8 anni. Felicità è vedere le sue figlie parlare come buone amiche. Felicità è Natale, questa festa magica che mette tutti d’accordo.
MA COME SAPETE, la felicità è simile alla sottile crosta di ghiaccio che copre la superficie di uno stagno. Basta niente perché si spezzi e vi faccia sprofondare nel gelido abisso. In questo caso a incrinare il ghiaccio è lo stridulo squillo del telefono. “Rispondi tu» dice la cognata del tizio alla moglie, che si trova più vicino al molesto apparecchio. La moglie alza il ricevitore e il tizio la sente dire: « Si. No. Certamente. Buon Natale, a presto.» «Chi era?», domanda il tizio quando lei ha riagganciato. «Famiglia» risponde lei evasiva. Non puoi vivere per 25 anni con una donna senza capire quando ti racconta una frottola e il tizio è sicuro che sua moglie abbia mentito. Non soltanto per la sua aria evasiva, ma perché al telefono ha parlato in francese mentre con i membri della famiglia parla in kinyarwanda. <<Chi era?» ridomanda il tizio, guardandola negli occhi. « Era… » La moglie si accinge a raccontare un’altra frottola ma sotto lo sguardo inquisitorio crolla di schianto. «Mohamed.»
A QUESTO PUNTO il tizio si trasforma come il dottor Jekyll quando diventa Mr Hyde. Sparito il pacifico suonatore di carole natalizie, al suo posto una belva assetata di sangue. «Eh? Ancora quell’arabo di merda? Che cosa fa qui? Perché non lo avete rispedito al bled?» Si rende conto di avere quasi gridato e aggiunge a voce più bassa: «E gli hai pure detto buon Natale, a presto.» «Ha detto che vuole vedere suo figlio» lo informa la moglie come se questo giustificasse tutto. Il marmocchio in questione sta sgambettando in un recinto alle spalle della madre seduta a tavola. «Non è suo figlio» ribatte il tizio. « Anche le bestie possono riprodursi ma essere padri si merita. E un Mohamed che registra all’anagrafe mio nipote come Mohamed non merita di essere padre.» A corto di argomenti, la moglie tenta una diversione: «Sei geloso di tua figlia.» «Geloso io?» sbraita il tizio, alzando di nuovo la voce. «Stai scherzando? Mia figlia è maggiorenne e per me puó andare a letto anche con il cadavere di Osama Ben Laden, ma mio nipote è un’altra questione. Mio nipote è minorenne e va protetto. Soprattutto contro chi cerca di marchiarlo alla nascita come un vitel… » Di tutto questo discorso la figlia, che ha seguito attentamente la conversazione, ha capito soltanto una cosa: «A letto con il cadavere di Osama Ben Laden?» Balza in piedi con gli occhi luccicanti di lacrime, lascia la stanza di corsa e un momento dopo si sente sbattere una porta.
«HAI VISTO?» dice la moglie al tizio in tono di accusa. «Sei il Grinch.» «Il Grinch! Il Grinch!» fanno eco i bambini con entusiasmo. Per chi non lo sapesse, il Grinch è un leggendario mostro sciupanatali. E il tizio (come avrete capito sono io) non puó fare a meno di pensare: a volte la parete che separa un pacifico Babbo Natale da un Grinch è più sottile della crosta di ghiaccio che copre uno stagno.
Dragor
Scritto alle 20:56 nella Diario personale, diario personale, Natale | Permalink | Commenti (4)
Tag: Grinbch, Natal
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GILLES BOURDOULEIX, sindaco di Cholet, ha detto a proposito degli zingari: «Hitler non ne ha ammazzati abbastanza.» Naturalmente la frase gli è valsa gravi sanzioni, non ultima la destituzione dalla sua carica di primo cittadino. Giusto e sacrosanto.
EPPURE questa frase ce l’ho nelle orecchie da anni, diciamo da tutta la vita. Vedete, se avete una faccia come Woody Allen e un nome come Rabinowicz dovrete sorbirvela più volte al giorno, specialmente se fate una professione che puo’ esporvi a qualche conflitto, per esempio l’arbitro di calcio o l’agente delle tasse. Ma anche se siete alti, biondi, con gli occhi azzurri e vi chiamate Rossi, una volta conosciute le vostre origini potete stare sicuri che qualcuno ve la soffierà. Perché? Semplicissimo, perché la gente odia gli ebrei. E’ stata allevata nell’odio, ormai non se ne accorge più. Odiare gli ebrei è un fatto naturale come respirare, un riflesso condizionato, una parte del DNA. Gli islamici odiano gli ebrei perché non gli hanno riconosciuto il profeta, i cristiani perché gliel’hanno fatto fuori. Entrambi sono allevati nell’odio fin dalla più tenera età e non soltanto se sono religiosi. L’odio è dilagato, finendo per contaminare ogni aspetto della vita.
L’ODIO si è manifestato nei secoli con massacri e persecuzioni. Al minimo problema, il capro espiatorio erano gli ebrei. C’era la peste? Colpa degli ebrei. C’era la siccità? Colpa degli ebrei. La suocera rompeva le scatole? Colpa degli ebrei. Il cammello vomitava? Colpa degli ebrei. Con la creazione dello stato d’Israele, l’odio ha raggiunto l’apice, perché Israele ha fornito una quantità di modi politicamente corretti per dire «Hitler non ne ha ammazzati abbastanza.» Ma come, questa gente non era condannata all’esilio eterno? Come si permette di avere una patria? E peggio ancora, una patria con un livello sociale, scientifico e culturale cosi’ alto che al confronto tutti i paesi circostanti e la maggior parte dei paesi europei sembrano Terzo Mondo? Cosi’ l’odio si mescola all’invidia e tutti, musulmani, cristiani, orfani di Mosca, nemici dell’occidente, razzisti, fascisti, ignoranti, frustrati di ogni genere, fanno i salti mortali per negare la legittimità dello Stato d’Israele - con ogni probabilità uno Stato più legittimo di quello in cui abitano – e auspicare che sia cancellato dalla faccia della terra. Come nei secoli attribuivano tutti i mali agli ebrei, adesso li attribuiscono a Israele. Riescono a fare acrobazie degne dei Flying Devils. Riscrivono la storia, falsano l’attualità, riprendono la propaganda, negano l’evidenza, si aggrappano alle scuse più balorde.
IN REALTA’ hanno già fatto la loro scelta da un pezzo e tutto il bla-bla serve soltanto a travestirla. “Hitler non ne ha ammazzati abbastanza.” Coraggio, ditelo chiaramente. Risparmierete fiato.
Dragor
Scritto alle 00:18 nella Costume, Diario personale, diario personale, Medio Oriente | Permalink | Commenti (8) | TrackBack (0)
Tag: Ebrei, Gilles Bourdouleix, Hitler, Israele, Medio Oriente, zingari
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IL MEDICO è anziano, grande, biondo-grigio con la faccia rubizza, gli occhi azzurri e un paio di baffi da ufficiale di cavalleria. Sembra un chirurgo militare di quelli che ti amputano la gamba se hai un graffio al piede, o anche un Obélix in versione moderna. E’ seguito da un codazzo di interni che si dispongono in fila contro la parete e lo guardano come se fosse Dio. «Perché è dimagrito?» chiede accostandosi al mio letto. Sono da 1 settimana nel reparto epato-gastro-enterologico dell’Archet dopo 4 giorni in rianimazione a St. Roch. Lo guardo come se avesse due teste. “Forse perché non mangio” borbotto. “Le ho fatto una domanda!” tuona lui con voce terribile. « Perché è dimagrito?» A questo punto perdo la pazienza. «Prima di andare in Rianimazione sono stato 4 giorni senza mangiare e qui mi hanno tenuto a digiuno fino all’altro ieri. Le sembra un regime ingrassante?” sbotto. Lui strizza l’occhio all’interna più carina, che diventa tutta rossa. «Prima di venire qui è stato 4 giorni senza mangiare.» Poi si rivolge a me. «Il suo dimagrimento è troppo importante. Le daremo un integratore alimentare.» Strizza di nuovo l’occhio all’interna, che diventa ancora più rossa. «Gli diamo un integrativo alimentare. » Accenna ad andarsene con la sua corte, ma lo trattengo. «Ehi, un momento. Quando posso uscire di qui?» «Domani.” “Wow!» Gli offro il palmo all’insù per un top-five all’africana. «Tope-là!» Lui sbatte il suo palmo contro il mio e per poco non mi fa cadere dal letto.
SCRIVO QUESTE RIGHE sul balcone della mia casa nel Quartier des Musiciens. Le piante e i fiori sono uno splendore grazie all’impagabile Mme Giroud che se n’è occupata mentre ero in Africa. Mentre faccio colazione con una tazza di tè nero, un fragrante croissant e qualche toast con la marmellata, guardo gli edifici Art Déco, Art Nouveau e Secondo Impero della mia via. Tutto è cominciato là, rieccomi al punto di partenza. Non voglio fare programmi. Vivo nel presente, riscopro le piccole cose della vita che ho rischiato di perdere per sempre: il gusto del croissant intinto nel tè, una farfalla che si posa su un fiore, i suoni e i colori della mia Nizza. Per le grandi c'è tempo. Dédé mi dà la copia di Nice-Matin che è scesa a comprarmi. Dédé, cara Dédé, mi hai salvato ancora una volta. Dove sarei senza di te? Dédé forever.
Dragor
Scritto alle 22:15 nella diario personale | Permalink | Commenti (12) | TrackBack (0)
Tag: L'Archet, Nizza, Quartier des Musiciens
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ATTRAVERSO L’INTRICO di cavi vedo una persona che conosco bene. E’ mia figlia Minou piovuta da Parigi. Per fortuna l’altra figlia è rimasta a Copenaghen, altrimenti si azzufferebbero come gatte inferocite. «Papouneeeet! Come stai?» Le ho detto 1 miliardo di volte di non chiamarmi papounet e guarda il risultato . «Bene» rispondo, come se non si vedesse. «Papouneeeet! Oh, papounet.» La mia figlia in versione parigotta sfoggia jeans attillati, giubbotto di pelle Arturo, foulard Dior, borsa di pitone, stivaletti Sebago, dev’essersi rovesciata addosso un bidone di Pure Poison. Se è incinta, non si vede. Il suo I-phone spara Eine kleine Nachtmusik. «Scusa Papounet» dice, poi risponde : «Sí. No. Eh? Geniale. Ah. Allucino. Allucino. No. Ti richiamo. » Chiude il cellulare. «Papouneeet! Aspetta, vado alla toeletta.» Scompare per qualche minuto, poi torna. «Come stai, papounet?» «L’anestesia non ha funzionato» rispondo per fare conversazione. «Mi sono svegliato con il tubo in gola” «No! Allucino.» I parigotti hanno sempre bisogno di intercalari idioti. Ai tempi di Louis XIV dicevano “Prezioso”, da cui i Preziosi. Ai tempi del Direttorio diceveno «Incredibile», da cui gli «Incredibili.» Adesso va di moda «allucino», da cui gli Allucini. «Come va il lavoro?» «Funziona. Faccio l’ufficio stampa. Funziona. Funziona. Funziona.» Mia figlia scrive come una dea, ma quando parla, meglio turarsi le orecchie. «Sei incinta?» «No, l’ho tolto. Il lavoro…» «Brava, a morte quegli stupidi feti che non servono a niente. Ma ricorda, l’aborto non va usato come contraccettivo. « E’ vero, ma in Thailandia ho vomitato la pillola. Cosí…» «Be’, non vomitarla più.» «Che cosa ti porto, papounet? Che cosa vuoi?» Rifletto un momento, poi dalle mie labbra aride esce una strana risposta: «Salambó». Non so perché, all’improvviso mi è venuta voglia di Flaubert. «Subito, papounet.» Parte e torna dopo mezz’ora con una copia di Salambó ben odorosa di carta ossidata. E’ chiaramente un bouquin, un libro d’occasione. «So che ti piace l’odore, papounet.» Cara Minou, non per niente abbiamo passato una vita insieme. «Come stai, papounet?» «Meglio» rispondo per farle piacere. «Oh. Geniale. Geniale, geniale, geniale.» Poco dopo finisce l’orario di visita e deve andarsene. «Ciao Papounet, domani torno a Parigi. Ti telefono. Non preoccuparti, ho parlato con i medici, ti rimetteranno a posto, presto sarai come nuovo. Funziona, funziona, funziona. Okay, a presto. » Infila la porta e rimango solo con Dedé. Quando l’infermiera la caccia via, si china per baciarmi in uno spazio lasciato libero dai cavi, ma durante l’atto scoppia in lacrime. Dov’è finito il famoso self-control rwandese? Si riprende, scuote la testa, si asciuga gli occhi e lascia la stanza anche lei. Rimango solo e ho uno scambio di SMS con l’arabo che si è attaccato all’altra mia figlia a Copenaghen. “Perché ti attacchi?” chiedo. «Non hai ancora capito che non ti vuole?” Ricevo questa stupefacente risposta: «La domanda è formulata male, perché presuppone che le donne siano libere di scegliere.» E ci troviamo questi selvaggi fra i piedi ogni giorno. Presto, una legge che metta l’islam fuorilegge.
IN 2 ORE rileggo la battaglia di Macar e quella del Moloch. Descrizioni cosí possenti che al confronto il Signore degli Anelli sembra La Guerra dei Bottoni. Ho sempre cercato di scoprire il segreto dello stile di Flaubert, per me prossimo alla perfezione. Perfino il grande Proust dichiara di essersi formato su Flaubert, che a sua volta dichiara di essersi ispirato a Montesquieu. Cosí possiamo stilisticamente stabilire una linea Montesquieu-Flaubert-Proust. Stavolta mi aiuta un’ottima prefazione firmata Henri Thomas: «Questo seguito di tre frasi, questo triplo piano nel quale il soggetto cambia a ogni proposizione, si troverà spesso in Salambó: «Spuntava il giorno, risuonarono dei latrati, vi si avvicinarono». Ma certo! Ecco come fa a scrivere a 3 dimensioni. D’ora in poi anch’io cambieró soggetto a ogni frase. Se…
SI DICE che i moribondi vedano una grande luce bianca, una moda lanciata dagli americani negli anni ’70 come l’aerobica e lo zen. Chiudo gli occhi e in effetti ho delle visioni un po’ psichedeliche. Provo a descriverle : un’immensa mandria di zebre che si deforma e diventa una maschera Scream, che si deforma e diventa 10.000 leoni, che si deformano e diventano un enorme drago che spalanca le fauci per divorarmi… Dev’essere la pressione bassa, il monitor si trova alle mie spalle ma so che all’ultimo controllo avevo 8. Provo uno strano senso di pace. Certo, ho ancora una nausea terribile, brucio di febbre e la bocca mi sembra fatta di cartapecora, ma mi sento in pace. Non soltanto, addirittura felice perché ho scoperto il segreto di Flaubert. Credo di sapere perché: il mio corpo si sta preparando alla morte. Con la sua grande saggezza, la natura ha ha dotato il corpo di una dolcissima preanestesia per facilitare il passaggio dalla veglia al coma e quindi al trapasso. Provo un delizioso senso di pace. Mi viene da sghignazzare se penso ai teisti che dicono «al momento di morire avrai paura e ti convertirai.» Ai quei poveri teisti con la loro stupida ossessione del bene e del male, del paradiso e dell’inferno, che s’inventano una vita dopo la morte ma al momento di crepare se la fanno addosso. Poveretti, tutta la loro vita è una battaglia contro la natura. La detestano mentre noi liberi pensatori l’amiamo. Viviamo con la natura, siamo la natura, apparteniamo all’universo. Fluttuiamo in alto, liberi e superiori, siamo l’universo. Banda di bruti, prigionieri delle stupide gabbie che vi siete fabbricati con le vostre mani, schiavi dei vostri terrori e delle vostre ossessioni, guardate come muore un libero pensatore. In pace !
GUARDO LE MIE BRACCIA ridotte all’osso e martoriate dalle flebo, sento la bocca simile ai Rotoli del Mar Morto. Vale la pena di vivere cosí? «Lasciati andare »,mi suggerisce una voce insidiosa. «Abbandonati a questa pace. Basta flebo, basta nausea, basta bocca piena di sabbia. Lasciati andare, addormentati, ti prometto che non soffrirai.» La tentazione è forte. E se… ? Cosí, solamente per provare?
IL CELLULARE sul tavolo accanto s’illumina e ronza dolcemente. Cerco di prenderlo ma sono steso sulla schiena e non posso girarmi. Accidenti, perché non l’ho posato sul letto ? Con la sinistra non ci arrivo, è troppo vicina e non posso girarla. Ci arriverei con la destra se non fosse trattenuta dal tubi delle flebo. Alla fine, a prezzo di sforzi sovrumani, riesco a prendere il cellulare. C’è un messaggio di Dédé : «Senza di te mi sento tutta sola.» «Imbecille», mi dico. «La tua vita non ti appartiene. Vuoi lasciare quella donna? Ti ama più della vita e tu la ricambi lasciandola sola? Vuoi lasciare i tuoi gatti, le tue figlie, gli amici, il mondo che ha bisogno di te? Combatti. Mostra a quegli stupidi dei che sei il più forte. Vogliono la tua pelle, tu avrai la loro. Uccidi Dio, Jehova, Allah, Brahma, Shiva, Visnu, Anaitis, Astarte, Derceto, Astoreth, Mylitta, Athara, Elissa, Tiratha, Tanit (scusate, sono sotto l’influenza di Salambó). Massacra questa banda di spiriti perversi. Quando li avrai fatti fuori, sarai il padrone dell’universo! Porterai la Luce! Farai regnare l’Ordine, la Ragione, l’Amore!
ORA SO come la natura prepara alla morte. Quando verrà la mia ora, non avró paura. Temo soltanto il dolore. Se dovessi soffrire, chiederó l’eutanasia. La vita è nostra e ce la gestiamo noi.
Dragor
(continua)
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Tag: Flaubert, Morte, Nizza, ospedale St Roch, Rianimazione, Salambo'
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