journal intime

Traduttore, traditore

 

 

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   Preferisco sempre leggere un testo nella lingua originale, almeno fra le lingue che conosco. So per esperienza che un traduttore non è mai fedele, a parte il fatto che nessuna traduzione può rendere certe espressioni e certe assonanze. Un traduttore è come un musicista: può suonare Bach, Beethoven o Chopin ma nella loro musica ci sarà sempre una parte di lui. Il suo Bach non sarà mai come quello di un altro. Dovendo tradurre un testo letterario, reagisco come di fronte a un testo musicale: se mi piace, seguo l’autore; se non mi piace, lo riscrivo a piacere. In fin dei conti il mio scopo è offrire una lettura o un ascolto piacevole. Se l’autore è un brocco, niente paura: c’è Dragor che lo trasforma in un Prix Goncourt.

   Purtroppo ci sono i traduttori brocchi. Qualche errore fa ridere, come quello della bretone Santa Ursula uccisa con 11.000 vergini dagli Unni perché si era rifiutata di sposare il loro capo. In realtà Ursula era accompagnata da una sola vergine (almeno si spera) di nome Undecimille. Chiaramente ignorante dei nomi bretoni, il traduttore lo ha tradotto con il latino undecim milia et voilà, con un meraviglioso gioco di prestigio le vergini sono diventate 11.000.

   Comunque ne è bastata una per produrre danni  apocalittici.  Un incompetente ha tradotto l’ebraico עלמה – almah che significa « giovane donna » con il greco παρθενος - parthenos che significa “vergine” e da allora i cristiani, sempre a caccia di prove miracolose delle loro credenze, si sono messi in mente che la mamma del profeta abbia concepito senza la collaborazione di Giuseppe. Guai a chi non è d'accordo.  Per quanto ne sappiamo Maria  può avere praticato con Giuseppe tutte le 101 posizioni del Kamasutra più qualcun’altra di sua invenzione, ma per i cattolici è parthenos, vergine, una cosa che si accorda perfettamente con la loro sessuofobia. Siccome qualcuno osava sostenere che non si puo' concepire senza coito, hanno difeso l’integrità della santa vagina in una guerra che dal 1618 al 1648 ha prodotto circa 11 milioni di morti. In questo caso il traduttore non è soltanto traditore ma anche massacratore.   

Dragor

Sono cresciuta con Harry Potter

    ANCHE A NIZZA E' SCOPPIATA la Pottermania. E' incredibile l'eccitazione provocata dall’ultimo episodio della saga  del piccolo mago. E’ cominciata la caccia al biglietto e ai cinema  si annunciano code chilometriche di gente con mantelli, cappelli a cono e bacchette magiche.  Siccome la mia figlia ventunenne è una fan di Harry Potter, ho pensato di chiederle una spiegazione. ”Perché tutti impazziscono per Harry Potter?", le ho chiesto.  “Ricordi quello che mi hai detto?", ha domandato lei. “Hai detto ‘la gente vuole sentirsi raccontare sempre le stesse cose. Per costruire un bestseller devi  rivisitare una fiaba.’" E’ vero, l’ho detto. “Be’, Harry Potter è pieno di archetipi presi dalle fiabe. A parte questo, c’è la scuola inglese.” “La scuola inglese?” “Sì, ciascuno di noi ha un suo modello mentale di scuola inglese. Sai, edifici gotici, piccole camere, finestrelle dalle quali si evade per notti folli come nei romanzi di Wodehouse, cappe, tocchi, refettori con  immensi tavoli, frustate somministrate per dozzine,  tutto il repertorio. Ricordi ‘Addio Mr Chips?’ “Quella sbrodolata sentimentale degli anni 30?” “Sì, l’inizio sembra Harry Potter. Che cosa credi che mi sia rimasto impresso del viaggio che ho fatto in Inghilterra con la scuola a 15 anni?” “La cattedrale di Gloucester?” “No.” “La cattedrale di Canterbury?” “No.” “Il Royal Crescent a Bath?” “No.” “Ma come, con quello che mi è costato quel viaggio non ti ricordi nemmeno quel capolavoro dell’architettura georgiana? E’ un’indecen…” “Mi ricordo il refettorio del Christ Church College a Oxford” m’interrompe lei.  “E sai perché?” “Perché?” “Perché ci hanno girato una scena del primo film di Harry Potter” risponde trionfante. “Poi c'è il romanzo vittoriano. Sai, quando i bambini erano repressi con una rigida disciplina e sottoposti a punizioni crudeli. Così li si consolava con libri nei quali dalla soffocante banalità della vita quotidiana si passava di colpo nel magico regno della fantasia. Libri trasgressivi. E’ strano come si possa maltrattare i bambini in quel modo e nello stesso tempo scrivere per loro le migliori storie del mondo. Ma questa è l’Inghilterra. Pensa al letto che si mette a volare e porta Wendy nel Paese-Che-Non-C’è, ad Alice che entra in uno specchio e si ritrova nel Paese delle Meraviglie.” “E allora? “Be’, in Harry Potter c’è un binario invisibile, quello del treno che lo porterà a  Poudlard. “Come lo trova?”  “Entrando in una colonna della stazione Victoria. Proprio così, in una colonna. Entra nella colonna e trova il binario.” “Fantastico.”  “Sì, e poi ci sono i ricordi d’infanzia. Le mie amiche e io abbiamo combinato di andare al cinema tutte insieme. Le mie amiche di allora, quelle che sono cresciute con me. Adesso ci siamo sparse qua e là, ma stasera fingeremo di essere delle scolarette in libera uscita. Sarà come tornare indietro nel tempo. Magari faremo un po’ di casino  mentre siamo in coda per comprare il biglietto…”     

                 Dragor

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Un generale dal volto umanista

    Confesso che ho un’opinione un po’ stereotipica dei militari. Li vedo come gente che funziona solo in gruppo come le legioni romane o i quadrati della Vecchia Guardia: se si sbandano, sono finiti. Come gente che lascia a casa il cervello per riprenderlo alla fine del servizio, sempre che lo trovi ancora.  Perché, dal mio punto di vista, per obbedire ciecamente e rischiare la pelle non bisogna pensare. Non per niente la struttura militare è concepita per annullare l’individualismo: indumenti uguali, nomi uguali, movimenti uguali. Ma la regola non vale per tutti. Napoleone diceva: vince chi ha la truppa più stupida e i generali più intelligenti.

  

    Infatti un generale è obbligato a pensare. Non gli si chiede di obbedire ciecamente ma di ragionare, ossia di trovare il sistema di far fuori il maggior numero possibile di nemici  perdendo il minor numero possibile di soldati. Una responsabilità enorme.  Così può  accadere che un generale non si limiti a studiare strategie militari ma usi le sue qualità intellettuali per scopi non strettamente bellici, aprendosi al mondo in senso umanistico. Questa, secondo me, è l’unica spiegazione per la straordinaria apertura del generale dell’aeronautica Vincenzo Parma, così come emerge dal libro  L’Incantesimo dei Tanti Mondi  della giornalista Ornella Rota, superbamente illustrato da  Herman Vahramian e completato da un CD di musiche di avanguardia (Scelsi, Berlinguer, Karanov, Lotoro, Orozco-Hurtado, Sani, Fabbriciani).

  

   Gli aviatori sono militari speciali, come dimostra  Antoine de Saint-Exupéry. Soli nel cielo ai comandi di un aereo, dipendono soltanto da se stessi e Vincenzo Parma dà precisamente questa sensazione: di essere solo nel cielo e dipendere soltanto da se stesso. Sentite un po’: “Ognuno è solo nei crocevia della vita, a qualunque età. Lo verifico anche nella parte comando: hai tanti collaboratori ma alla fine sei solo.” A forza di starsene virtualmente sospeso nel cielo, Vincenzo Parma è diventato come uno dei quei viaggiatori colti, filosofi e un po’ tuttologhi del XVIII secolo, vale a dire un uomo capace di guardare il mondo con l’entusiasmo di un bambino e la cultura di un adulto. Ha viaggiato molto e nel modo migliore: “Immergersi in realtà che ti fanno andare oltre la quantità e qualità di sensazioni che hai metabolizzato lungo la vita. Condividere piaceri, odori, colori, suoni, orizzonti che fino a poco prima parevano lontani e magari ostici.” E non  si sente mai spaesato: “Quando sei fuori d’Italia ti bastano poche attenzioni, un minimo d’interesse, le informazioni indispensabili, una battuta, un  sorriso.” Ma oltre il viaggio all’esterno, c’è quello all’interno di se stesso, che un buon viaggiatore non può mancare. Quale parte del mondo lo ha avviato? “Credo l’Africa. L’ho sempre percepita come il mio centro profondo, dal quale tutti siamo partiti.” L’Africa come una sfida: “Scoprivo persone che, con la sola forza della dedizione, cambiavano i destini d’intere comunità, scuole che continuavano a esistere solamente per merito di pochi bambini e adulti stremati dalla testardaggine di perseguire un minimo di vita decente.” Ma anche la Cina ha dato il suo contributo: “L’equilibrio delle forze nell’interagire dei cinque elementi naturali e la continua oscillazione delle energie yin e yang fondamentali e contrapposte.” E in fondo al lungo viaggio parallelo della scoperta interiore c’è il Portale, una metafora del subconscio da “illuminare e ridimensionare per evitare che diventi sempre più enorme e minaccioso.”

 

   Mentre leggevo questo libro-intervista  condotto con molta sensibilità da Ornella Rota, mi sembrava di vedere una coppia di pattinatori eseguire una danza elegante sul ghiaccio, completandosi a vicenda e dandosi reciprocamente lo slancio per la figura successiva. Una simbiosi perfetta. “Come mi piacerebbe essere intervistato così”, ho pensato. Di solito m’intervisto da solo, ma le interviste sono come l’amore: si fanno in 2.

 

                 Dragor

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E' proprio necessario finire un romanzo?

    NON STO PARLANDO dei romanzi che annoiano, quelli si buttano via e buonanotte. Sto parlando dei romanzi che piacciono. Che bisogno c’è di leggerli fino in fondo? Nel supplemento culturale del quotidiano madrileno El Pais, lo scrittore colombiano Santiago Gamboa paragona i libri alla minestra. Non c’è bisogno di vuotare tutta la scodella per apprezzarla, può bastare un assaggio. Così Gamboa fa il suo coming out, dichiarando di apprezzare moltissimo Philippe Sollers e Thomas Bernhard, ma di non avere finito i loro libri. Gli scrittori sanno che certi lettori si limitano agli assaggi,  ecco perché in Italia c’è la moda dei polizieschi alla Camilleri. Se non altro la gente li legge fino in fondo per sapere “come va a finire”.   

  

    Eh no, cari, quello è un colpo basso. Tu devi saper creare tensione narrativa anche senza la solita storia del “chi sarà l’assassino?” o “si sposeranno?” Un bravo scrittore sa rendere interessante anche l’elenco del telefono. Un buon livello di tensione narrativa fa sì che il lettore arrivi fino in fondo. Certo, basterebbe un assaggio, ma il piacere dove lo metti?

                  

                       Dragor

 

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Poeti a pagamento

    In  Italia ci sono 3 milioni di scrittori  disposti a sborsare soldi e 850 case editrici disposte a prenderli. Forse i santi e i navigatori non abbondano, ma i poeti rappresentano una considerevole fetta di mercato. E che poeti. Scrivono 4 parole spaziate e credono che sia una  poesia, anche perché un tizio pagato di tasca loro gli scrive come prefazione: “Il toccante messaggio riflette uno smarrimento esistenziale e quasi panico nella sua cosmica contemplatività.”  Di metrica e rima nemmeno parlarne perché sono troppo faticose, ecco il guaio. Il rigore della metrica e delle rima vi obbligano a organizzare le idee, a fare la selezione in modo che la vostra sia una poesia e non una sbrodolata. Questo non toglie che si possano fare ottime poesie con versi sciolti, ma il rigore si ottiene con lo studio della metrica e della rima. Scrivere poesie in versi sciolti senza conoscere la metrica e la rima è come dipingere quadri astratti senza avere studiato la copia dal vero. Prima di sbrodolare, imparate a comporre un sonetto.

  

    L’approccio poetico è un vecchio vizio italiano. Nella letteratura italiana molte questioni che dovrebbero essere affrontate con la testa vengono affrontate con  l’utero. Gli scrittori razionali come Moravia e Baricco sono rarissimi. Gli italiani cominciano a scuola con  la poesiola quando il compagno muore o si ammala e si tirano dietro per tutta la vita il nodo alla gola con la lacrimuccia adolescenziale. Non maturano mai. Quando diventano grandi,  hanno il cassetto pieno di poesie e si credono poeti, così si fanno spennare da un editore ladro per pubblicare un volumetto che leggeranno soltanto loro perché in Italia ci sono più poeti che lettori.

   

   Mi sembra stupido pubblicare a pagamento. A che pro farsi derubare?  Sul Web hai un editore che pubblica tutti gratis e diffonde in ogni parte del globo, mentre i ladri che pubblicano a pagamento ti stampano un centinaio di copie che devi comprare tu stesso al prezzo di copertina, più un’altra decina di copie che resta in deposito presso la casa editrice nell’improbabile caso che qualcuno voglia comprarle e con questo considerano assolti i loro doveri di distribuzione.  E’ chiaro che, per farsi spennare in quel modo, la gente non resiste al fascino della carta, a parte il fatto che con una stampante da 50 euro tutto quello che pubblicate su Internet può diventare cartaceo. Altro che pagare 2000 euro all’editore. Per me pubblicare a pagamento significa che devono pagarmi. Sono disponibile per il maggior offerente. Io pago soltanto la corrente elettrica per far funzionare il computer ed è già fin troppo.

                    

                        Dragor

                                   

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I miei 5 libri per l'estate

    Ecco qui le mie proposte di lettura per l’estate. Premetto una  cosa: detesto leggere le traduzioni. Quando è possibile, leggo sempre in lingua originale. Posso leggere correntemente in italiano, francese, inglese e spagnolo ma soffro quando sono costretto a leggere una traduzione dal russo, dal tedesco o da un’altra lingua che non conosco. Traduttore, traditore.

   PER COMINCIARE, vorrei segnalarvi un libro straordinario. Non è l’ideale per svagarsi sulla spiaggia, ma la buona letteratura non ha stagione e questo libro è straordinario. Uno dei libri che mi hanno impressionato di più e vi assicuro che ne ho letti molti.  Il suo autore è rwandese, Révérien Rurangwa, il titolo è Génocidé, Genocidato.  Révérien racconta come un  vicino di casa, indottrinato dal borgomastro, dal prefetto, dal prete e dalla radio, gli ha massacrato la famiglia sotto gli occhi, 43 persone con vecchi, donne e bambini. Come il vicino abbia “lavorato” quasi controvoglia, per fare il suo dovere di buon cittadino e di buon cristiano. Come le sue figlie abbiano spogliato morti e moribondi. Come lo abbia gravemente ferito lasciandolo per morto e tutto quello che è successo in seguito. Non soltanto Révérien racconta un’esperienza terribile, ma sa scrivere. E’ più bravo di Primo Levi,  anche se non lo sa quasi nessuno perché dietro di lui c’è soltanto la lobby tutsi e non quella ebraica. E’ più bravo perché anche in questa orribile circostanza riesce a fare quello che a Levi non sarebbe riuscito nemmeno in 1 milione di anni: dell’humour. E’ qui che si vede lo scrittore di razza. Leggerete la straordinaria autoanalisi di quello che passa nella mente di un tizio che ha vissuto quel dramma. E’ soltanto un piccolo episodio dell’immane genocidio rwandese, ma in presa diretta e scritto da una mano fantastica. Vi darà un’idea più di 100.000 saggi. Se non conoscete il francese, fate un corso accelerato, perché in italiano sul Rwanda trovate soltanto le lagne dei preti. Potete ordinarlo alla FNAC, ve lo spediscono a casa.

 

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Poi vi segnalo un’opera che non mi stancherò mai di rileggere: i Sonetti di Shakespeare. Non soltanto è un culmine della letteratura di tutti i tempi,  ma permette di apprezzare in tutte le sue infinite sfumatura la lingua inglese con le sue immense possibilità di sintesi. E l’arte di Shakespeare dall’Inghilterra elisabettiana vi porterà rapidamente in una dimensione universale.

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Adesso un saggio: L‘illusione di Dio di Richard Dawkins, il  libro che vi convertirà al libero pensiero se vi manca la forza di farlo da soli. Dawkins è un evoluzionista darwiniano ed è interessante il suo approccio scientifico alla questione  religiosa. Questo libro lo trovate nella traduzione italiana.  

 

 

 

 

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   Se volete conoscere Nizza, non perdetevi Avenue des Diables Bleus del nostro scrittore cult Louis Nucéra. E’ uno straordinario viaggio sentimentale nel cuore di Nizza con centinaia di personaggi che vi daranno un’idea del carattere della città.

 

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E per finire, vi raccomando Al Cuore della Vita (anche stavolta c’è la traduzione italiana) di Jean-Claude Ameisen, uno straordinario libro che fa il punto su un campo della biologia in piena espansione, capace di trasformare la nostra comprensione del mondo vivente. Un thriller molecolare con una  fantastica vena filosofica e poetica. Un libro da non perdere per invecchiare con intelligenza.

 

   Non nomino nessuno, visto che qualche nominato deve ancora farsi vivo.

                     

                Dragor

Boris Vian è con noi

    Ore 10,30 del 23  giugno I959. In un cinema parigino, Le Marboeuf,  si  proietta in anteprima il film “Sputerò sulla vostra tomba”, ispirato all’omonimo romanzo di Boris Vian. L’autore non era stato invitato, ma sedeva fra il pubblico. Aveva litigato con i produttori, accusandoli di avere stravolto la sua opera e vietando loro d’inserire il suo nome nei titoli. Poco dopo l’inizio della proiezione  Boris si alza, caccia un grido e si affloscia sul pavimento, fulminato da una crisi cardiaca. Aveva solo 39 anni, soffriva di cuore dall’età di 12.

 

      Boris Vian è  una figura mitica che ha marcato indelebilmente la vita intellettuale e artistica della Parigi del dopoguerra. In questi giorni la Francia sta celebrando il cinquantenario della sua morte.  Scrittore, traduttore, poeta, compositore, cantante e suonatore di tromba, Vian è cresciuto in una famiglia che gli ha insegnato a rispettare la libertà e a diffidare delle istituzioni, in particolare di Dio e della Patria. Tutta la sua opera è una serie di graffianti provocazioni nelle quali la sensazione prende il posto dell’introspezione. Il suo spirito ribelle si manifesta nella più celebre delle sue canzoni, “Il disertore”, una fantastica apologia del pacifismo scritta in piena guerra d’Algeria.

   

    L’artista abitava a Montmartre. Se andate in Place Blanche e  guardate il Moulin Rouge, sulla collina che domina il celebre mulino vedrete la sua casa, situata nella Cité Veron. Mezzo secolo più tardi, niente sembra cambiato in questo appartamento di 30 metri quadri, una delle sue creazioni più straordinarie. Quando si entra, si ha l’impressione che il padrone di casa abbia fatto un salto al Club St-Germain-de Près per suonare con musicisti come Miles Davis e Charlie Parker, e debba tornare da un momento all’altro.

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   Sopra la porta d'ingresso, questa interessante scritta: "La direzione informa i geni sconosciuti che la mancanza di posto non ci permette di riceverli."

 

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            Ecco qui la casa troppo piccola

  

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  Una chitarra-cetra fabbricata dallo stesso Vian

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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  Anche questa sedia è opera di Vian.

 

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 LA SUA OPERA ha conosciuto un  immenso successo di pubblico a titolo postumo negli anni 60 e 70, specialmente nel maggio 1968. Ma anche i giovani di oggi si riconoscono in Vian, l'eterno adolescente.

   

     Dragor

  

   Qui sotto potete ascoltare “Mozart avec nous”, una straordinaria canzone composta sulle note della celebre "Marcia Turca" di Mozart. Le parole finali, "Mozart non meritava questo trattamento, ma dobbiamo pur vivere", sono un invito al gioco e riassumono tutta lo spirito della sua vita. 

 

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Saviano ha plagiato?

   Vuoi vedere che Roberto Saviano,  autore del bestseller “Gomorra”, 2 milioni di copie vendute in Italia e altrettante nel resto del mondo, dal quale è stato tratto un film premiato a Cannes, ha scopiazzato tutto quanto? Lo rivela il quotidiano Il Giornale, di proprietà dell’impero  Berlusconi. Simone Di Meo, giornalista di Cronache di Napoli, accusa il suo collega scrittore di avere plagiato i suoi articoli sulla camorra e gli ha fatto causa. Di Meo dichiara di essere rimasto “senza parole” quando ha letto Gomorra.   “Saviano ha riportato nel libro tutto quello che avevo scritto sulla camorra e tutto che gli avevo raccontato in confidenza, senza nessuna citazione.” Ha chiesto all’editore Mondadori, pure controllato da Berlusconi, di apportare numerose correzioni, ma sembra che ne sia stata apportata una sola. Così reclama 500.000 euro di danni.

  

    Gli amici di Saviano fanno notare che l’autore ha usato materiale pubblico come i giudizi del tribunale o le interviste ai magistrati. Non avendo utilizzato le confidenze, non avrebbe alcun debito nei confronti del suo collega napoletano.

  

   In Gomorra, Saviano sostiene che alcuni giornali italiani, fra cui Cronache di Napoli, sono complici dei clan camorristi. Ecco perché, secondo Di Meo “per Saviano sarebbe un problema spiegare perché ha preso le informazioni dai giornali che accusa.” E se dietro dietro le rivendicazioni di Di Meo ci fosse  la vendetta della Camorra? Va bene vedersi denunciata, ma plagiata proprio no. Da notare che Gomorra è pubblicato da Mondadori, una casa editrice sotto il controllo di Berlusconi come il Giornale. Un altro conflitto d’interessi?   

             Dragor

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SCRITTORI SI DIVENTA?

    In Italia dilagano i corsi di scrittura creativa. Se ne contano 120 e sono carissimi, ma questo non  toglie che abbiano fra 30 e 50 mila allievi. Servono per diventari scrittori?

   

   No, sempre che per voi lo scrittore sia un artista. Quando conosci tutto della tua arte, sei solamente al punto di partenza. Per essere un artista occorrono una forte personalità, una profonda carica emotiva  e la capacità di pensare lateralmente, ossia di fare associazioni non banali. In poche parole, dovete avere più circuiti mentali della media, non  solo gli schemi fissi che si usano di solito per sopravvivere. Ecco il mix che sta alla base di ogni arte.

      

   Un  corso può trasrformarvi in artisti? No, al massimo in artigiani, ma tenete presente che un buon artigiano vale più di un aspirante artista. Ce lo insegnano gli americani e gli inglesi, che non sono ossessionati dall’arte come gli europei ma dall’ansia di confezionare un prodotto gradevole e soprattutto vendibile. Nel mercato anglosassone il confine fra arte e artigianato si sfuma, non è netto come in Europa. Può accadere che un prodotto confezionato per il semplice intrattenimento  riveli  il magico soffio dell’arte.   

   

   Ogni anno i conservatori e le accademie sfornano migliaia di diplomati, gente  dotata di una tecnica eccellente, capace d’interpretare un  pezzo con  un bel suono, un profondo sentimento e un corretto inquadramento culturale, oppure di eseguire un ritratto con stupefacente penetrazione psicologica e una natura morta a scelta in stile classico, impressionista, cubista o dadaista. Per questo sono artisti? No, o al massimo lo sono un poco: artistini, artistucoli, artistelli. Per un vero artista  la preparazione tenica e culturale costituisce il punto di partenza, non di arrivo. Ecco perché ce n’è uno ogni milione di artigiani. Ci sono qualità che non s’imparano a scuola. Come diceva il grande Charlie Parker “impara sul tuo strumento tutto quello che puoi e poi dimenticalo.” Sì, ma quando lo hai dimenticato, devi metterci del tuo. Se non ce l’hai, oppure se ce l’hai ma non vale molto, non sei un artista. Un artista è come un pattinatore: esegue nel modo più naturale figure che naturali non sono, lo fa come se appartenessero alla sua natura. Non ha problemi tecnici, per lui la tecnica è come il respiro. Non se ne accorge e questo gli permette di essere se stesso in tutto quello che produce.

 

   I corsi possono insegnarvi la scrittura come nelle scuole di musica s'insegna la composizione, ma l’arte dovete mettercela  voi. Non diventerete automaticamente un Balzac  studiando scrittura come non diventerete un  Beethoven studiando composizione. Ecco perché sarà tanto se fra tutti i 50.000 allievi dei corsi nascerà un solo scrittore. In ogni caso, secondo gli insegnanti, dai corsi escono dei lettori più esigenti, consapevoli e raffinati. Per male che vada, diventerete un buon lettore.

          Dragor

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NIZZA E LE CLÉZIO, UNA STORIA D'AMORE?

      NO, NIZZA E IL SUO PREMIO NOBEL non si amano. Il  loro idillio è durato una notte, poi le strade si sono separate. Per cominciare, Jean-Marie Le Clézio è nato a Nizza per caso da una famiglia bretone trasferita da generazioni sull’isola Maurice, quindi non ha una goccia di sangue nizzardo. Certo, molti nizzardi di adozione amano Nizza ancora più di quelli DOC, ma non è il caso di Le Clézio. Ha dato qualche segno di vita al di là di qualche suo ritorno  nel quartiere del porto, dove ha passato una parte della sua infanzia? E Nizza  lo ha invitato per un premio, un omaggio o una serie d’incontri? No, ma la maggior colpevole è Nizza, che ha ignorato le citazioni dello scrittore. Nel 1997 Le Clézio scrive nella prefazione al bel libro di Jean-Paul Patron (1860-1960 Nizza, Cento Anni): “La città di cui vorrei parlare forse non  esiste più.  O forse  sta semplicemente dormendo quel sonno generale in cui sono scivolate le grandi città portuali del Mediterraneo?” Nostalgico dello spirito di paese, delle terrazze fiorite e della città vecchia,  evoca i suoi ricordi d’infanzia. Il  porto, dove ha abitato un tempo, la piazza Ile-de-Beauté con la sua flotta di pescherecci, di mercantili e di navi in partenza per l’Africa, l’odore di pesce, i motoscafi dei contrabbandieri?

 

    LE clézio DEFINISCE NIZZA  “luogo dove si mescolano i popoli, le idée, le immagini.” “Fascino, eleganza? L’incontro del mare con le onde delle colline? La bellezza della terra, dei giardini, delle terrazze di agrumi e di olivi? Un paese di contadini che grattano un suolo ingrato? Non ho la sensazione di un luogo sacro, piuttosto di un luogo familiare.”

   

   LA SUA FAMIGLIA E’ DI ORIGINE BRETONE e Jean-Marie è nato a Nizza per caso, rifugiato durante la guerra con sua madre a Roquebillière, un  villaggio dell’entroterra. In “Processo Verbale” i luoghi dell’infanzia (come la piccola mansarda nella rue Reine-Jeanne, proprio dietro la stazione)  diventano per Adam quelli della letteratura. In Pesce d’Oro  le vie di Nizza sono di una città per ridere, per sognare, per passeggiare. Ma più tardi si ricorda: “A Nizza sono veramente soffocato. Mi ricordo di avere scritto: “Nizza, un’immagine dell’inferno? Inferno sartriano di palme, di edifici rococo, d’immobili dalle facciate rosa.”  Così, per il futuro premio Nobel, Nizza è la città dell’angoscia esistenziale.

   

   ACCUSE, INCOMPRENSIONI, assenze, appuntamenti mancati. Che cosa importa? Al figliol prodigo che voleva scoprire il mondo da scrittore nomade si perdona tutto. Anche il fatto di scrivere: “Nizza mi annoia. E’ diventata una città piccolo-borghese, un luogo di passaggio. Adesso che mia madre è morta, non ho più voglia di tornarci.”  E' chiaramente un bacio di addio. Ma la sua ”città natale” “immobile, distesa fra il mare e la montagna”  gli deve ugualmente riconoscenza e ammirazione. Non capita tutti i giorni di dare i natali a un premio Nobel.

                         Dragor

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