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Tag: canonisation, Mère Teresa
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NON MOLTO TEMPO FA un cristiano convinto, uno di quelli che vanno in chiesa, si confessano, fanno la comunione e credono nell’al di là, mi ha detto: “Rispetto il dolore degli ebrei per la Shoah, è una terribile tragedia che ha colpito milioni di persone. Ma santo cielo, sono passati settant’anni! Non sarebbe ora di guardare al futuro, invece di restare attaccati al passato?” Poi ha sospirato con autentica compassione: “Perché, vedi, in parte l’ostilità verso gli ebrei dipende da questo. Ogni anno, il Giorno della Memoria, impongono il lutto al mondo intero, pretendono che tutti piangano sulle loro disgrazie. E la gente ne ha abbastanza. Non sono di quelli che dicono che Hitler avrebbe dovuto completare l’opera ma posso capire la loro esasperazione. La Shoah, l’Olocausto, il Genocidio, ogni anno la stessa musica. Basta!”
CARO AMICO, come ti sentiresti se qualcuno ti dicesse che il tuo culto della Pasqua è “esasperante”? Che in fin dei conti sono passati 2000 anni e sarebbe il caso di guardare al futuro invece di restare attaccati al passato? Che tutti gli anni, senza saltarne uno, imponete il vostro lutto con la conseguente resurrezione al mondo intero? Che pretendete che tutti prima si sentano in colpa e poi saltino di gioia? E almeno lo faceste una volta all’anno. Nemmeno per sogno, lo fate tutti i giorni, più volte al giorno, nelle chiese, per le strade, nelle scuole, negli ospedali, perfino nelle case. Ha detto questo, ha detto quest’altro, è andato di qui, è andato di là, gli hanno fatto questo, gli hanno fatto quest’altro. Sempre le stesse cose dette con le stesse parole. Tutti le conoscono a memoria ma continuate a ripeterle come dischi rotti. E’ una mania, una fissazione, un’ossessione. Ricostruite i fatti minuto per minuto, rievocate ogni azione, analizzate ogni parola, insistete sui particolari macabri, qualche volta giungete perfino a travestirvi per interpretare personalmente le scene. E non sono passati 70 anni ma 2000. E non si tratta dell’uccisione di 6 milioni di ebrei ma di 1 solo. Certo, avete il diritto di farlo. La libertà di opinione è anche libertà di ossessione. Ma vi credete veramente nella posizione di criticare il Giorno della Memoria?
Dragor
Scritto alle 12:15 nella Attualità, Costume, Religione | Permalink | Commenti (1)
Tag: Cristianesimo, Pasqua, Shoah
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Farid Benyettou, il mandante morale del massacro di Carlie Hebdo
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IL MASSACRO DI CHARLIE HEBDO che ha privato la Francia dei suoi migliori caricaturisti fra cui una leggenda vivente come Wolinski, l'assassinio di una poliziotta e quello di quattro ostaggi ebrei hanno una matrice religiosa. Squisitamente, unicamente religiosa, come gli innumerevoli attentati “terroristi” che li hanno preceduti. Inutile cercare altre giustificazioni. I fratelli Kouachi non sono stati manipolati dalla CIA, dai servizi segreti o dal Mossad come amerebbero credere i difensori della religione ma da Farid Benyettou, uno dei tanti imam che in banlieue predicano l'odio contro l'Occidente in generale e la Francia in particolare, buona soltanto per pagare i sussidi a chi vuole vivere a sbafo e per fornire vittime quando si tratta di combatterla nei suoi valori più sacri. L''emiro” delle Buttes-Chaumont ha iniziato i Kouachi all'islam radicale (e qui si dovrebbe riflettere un momento sul significato delle parole. Quando si parla di radicali, di integralisti, di fondamentalisti, si parla di radici, di integralità, di fondamenti. E come sarebbe a dire che l'islam delle radici, dell'integralità, dei fondamenti non è il vero islam, non ha niente a che fare con l'islam, è addirittura nemico dell'islam come blaterano gli adepti della taquya e della dissimulazione fra gli applausi dei dhimmi estasiati per spalmare di vaselina la supposta che la Francia, come il resto del mondo non musulmano, è Dar el Harb, la casa della guerra, un territorio da conquistare con la jihad del cuore, della mano e della spada? L'islam dei radicali, quello delle radici, è il solo vero islam. Non per caso Maometto faceva le stesse cose uccidendo chi criticava l'islam, non per caso gli islamici lo fanno da millequattrocento anni, non per caso le fanno in tutto il mondo, soprattutto nei paesi islamici i cui capi blaterano “not in my name” a proposito del massacro di Charlie Hebdo ma a domicilio trattano in modo ancora peggiore i critici della religione). “Quando parlava, avevo veramente l'impressione che la verità fosse là davanti a me” ha detto Chérif Kouachi a proposito dei corsi coranici dispensati dal suo mentore.
PER FARVI SAPERE come vanno le cose in Francia, attualmente questo predicatore di odio, il mandante morale del massacro di Charlie Hebdo, lavora come stagista infermiere all'ospedale La Salpétrière di Parigi e nessuno si sogna di disturbarlo. A Le Pen è bastato dire che “le camere a gas sono un dettaglio della storia” per provocare un scandalo internazionale e beccarsi sei mesi di galera con la condizionale. Troppo gentili, io gli avrei dato 6 anni di prigione ferma. Ma perché sotto l'ombrello della religione si può predicare l'odio impunemente? Perché la religione è sempre assolta per default? Finché non si metterà in causa la religione, in questo caso l'islam, dovremo aspettarci decine, centinaia di massacri di Charlie Hebdo.
Dragor
Scritto alle 16:33 nella islam, Attualità, Religione | Permalink | Commenti (10)
Tag: Charlie Hebdo, Chérif Kouachi, Farid Benyettou, islam
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COME ORMAI sanno anche i sassi, io sono ateo. Sono stato cresciuto nel libero pensiero soprattutto da mia madre, perché mio padre, pur professandosi libero pensatore, era un ignobile catho-collabo. Detto questo, non mi riconosco assolutamente nelle scene isteriche di certi laicisti robespierrani che reclamano la soppressione dei presepi esposti nei luoghi pubblici. Per una ragione semplicissima: questi laicisti non fanno altro che riprendere l'isterismo dei musulmani. Ormai in Francia il Natale è apertamente contestato da molti islamici che, quando vedono un presepe, ricorrono alla LICRA, a SOS Racisme, alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, all'ONU. C'è sempre l'idiota che gli dà retta e per benpensantismo o per paura sopprime la vecchia tradizione del presepe nella scuola, nella stazione o nel municipio.
HO SEMPRE percepito Natale come una ricorrenza più trascendentale del fatto religioso. Che si sia atei, agnostici, ebrei, musulmani, protestanti o cattolici, la tradizione ci riunisce intorno a un retaggio tessuto da secoli d'evoluzione di una cultura europea fatta di culti pagani progressivamente scippati dal cristianesimo, di cui l'espansione in Francia coincide simbolicamente con l'atto fondatore della nostra storia nazionale: il Battesimo di Clovis alla fine del quinto secolo.
NON C'E' NESSUN bisogno di essere cristiani per festeggiare degnamente Natale. Il presepio è una tradizione ben radicata in Francia, basta pensare ai nostri cari "santons" provenzali con i quali si fanno fantastiche crèches natalizie. A Coaraze, un villaggio poco lontano da Nizza, ogni anno durante le feste se ne espongono 400 nelle vie e nemmeno l'ateo più sfegatato osa contestare questa alluvione di segni religiosi nei luoghi pubblici. Anzi, gli atei si divertono come bambini e danno una mano a sistemare pastori, artigiani, casupole, comete, grotte, magi, marie, giuseppi, asini, buoi e gesù bambini. Una volta l'ho fatto perfino io con mia figlia che a quell'epoca aveva 8 anni.
MA ADESSO i presepi sono contestati da gente molto più intollerante degli atei, che salvo rari casi sono modelli di tolleranza. Questa gente, appartenente alla lobby sempre più arrogante dell'immigrazione musulmana, contesta non soltanto la rappresentazione cristiana della nascita di Gesù ma anche l'albero di Natale, Babbo Natale e in generale il Natale laico. Per questo a Nizza gli alberi di Natale sono quasi scomparsi dalle vie cittadine e i Babbi Natali non fanno più visita alle scuole. La tradizione resiste nel privato delle case. Ma per quanto?
Dragor
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Tag: bergoglio, Erdogan
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Se credete che Wojtyla proteggesse solamente gli assassini (vedi il mio post precedente) vi sbagliate di grosso. Proteggeva anche i pedofili. Il fatto che sia morto non lo esonera dalle sue colpe. Casomai le aggrava, visto che è sfuggito al processo e alla punizione. Ecco qui la storia, almeno quella conosciuta, della sua strenua battaglia in favore dei pedofili.
Guardate come sono carini. Siamo nel novembre del 2004 e papa Wojtyla, in arte Giovanni Paolo II, benedice il prete messicano Marcial Maciel Degollado, fondatore dei Legionari di Cristo, posandogli paternamente la mano sulla testa. Un quadretto edificante: due anziani prelati ormai al tramonto della vita, uniti nella fede in Cristo e promessi a un roseo futuro in paradiso. Soltanto un piccolo particolare stona in questo commovente teatrino ecumenico: Marcial Maciel è uno dei più grandi pedofili mai esistiti sulla faccia della terra. Il fondatore, o meglio lo sfondatore dei Legionari di Cristo è una vera macchina per sodomizzare, visto che ben 83 seminaristi lo hanno denunciato per violenze. Ovviamente la cifra totale delle vittime va come minimo triplicata, visto che nei casi di pedofilia nella chiesa le violenze denunciate sono solamente la punta dell’iceberg. Per convincerli ad alzare la sottanina, Marcial raccontava loro che non facevano peccato perché Pio XII gli aveva dato un permesso speciale: agente Marcial Maciel, licenza di sodomizzare. Così le sottanine si alzavano, Marcial sodomizzava e i testimoni tenevano acqua in bocca, perché i Legionari di Cristo, la congregazione fondata dallo stesso Marciel nel 1941, sono una grossa industria con 650 preti, 2500 studenti di teologia, 30.000 membri laici attivi in tutto il mondo, decine di scuole due delle quali a Roma, 60 milioni di dollari di budget annuale e nessuno vuole rinunciare a tanto ben di Dio per qualche culetto infiammato.
Wojtyla sapeva tutto, perché a partire dal 1956 il prete veniva accusato di iniziazione dei giovani alla droga e atti pedofili. Sapeva tutto, eppure nutriva per questo sodomizzatore di marmocchi un’ammirazione sconfinata. Forse, dopo Gesù Cristo (un altro che aveva un debole per i bambini), è la persona che più ha ammirato in tutta la sua lunga vita, se è vero che le sue ultime parole sono state di lode per Marcial Maciel. Infatti nell’aprile del 2005, mentre Wojtyla si accingeva a togliere il disturbo, il futuro papa Ratzinger spediva in Messico il padre Charles Scicluna, membro della Congregazione per la Dottrina della Fede, a indagare sulle prodezze del galletto messicano. Il moribondo Wojtyla non ha digerito questa inchiesta e prima di defungere e' riuscito a trovare il fiato per lodare “l’affetto paterno e l'esperienza del diletto amico Maciel". Coerente fino all'ultimo nella sua difesa del campione mondiale dei sodomizzatori.
Che avesse un debole per i pedofili, Wojtyla lo aveva già dimostrato nel 1996, quando aveva protetto in ogni modo possibile il vescovo Groer, accusato di pedofilia e responsabile di una mostruosa scissione della chiesa austriaca con la fuga di 500.000 fedeli confluiti nel movimento “la Chiesa Siamo Noi.” Wojtyla si opposto con ogni mezzo alla sua rimozione. Ha impedito ogni indagine sulle sue inclinazioni pedofile e lo ha trasferito a Vienna per sostituire il vescovo Koenig, un uomo scomodo perché considerato troppo indipendente. Morto Wojtyla, poiché caricato a viagra l’ottantacinquenne Marcial continuava imperterrito a farsi i bambini, Ratzinger lo ha “sollevato dalle sue funzioni” chiedendogli di “rinunciare a ogni ministero pubblico” e di vivere “una vita monastica nella preghiera e nella penitenza”. Sicuro, la galera è per i pedofili in calzoni, mentre quelli in sottana se la cavano con 4 avemarie e 1 padrenostro.
San Karol Wojtyla Protettore dei Pedofili. Merita la canonizzazione perche' ha tutelato gli interessi della Chiesa.E Marcial Maciel Degollado? E' volato in cielo nel gennaio del 2008 e adesso sta sodomizzando i cherubini in paradiso.
Dragor
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Scritto alle 12:23 nella Attualità, Costume, Religione | Permalink | Commenti (2) | TrackBack (0)
Tag: beatificazione, Marcial Maciel Degollado, pedofilia, Wojtyla
La Chiesa cattolica ha ogni diritto di proclamare santo chi le pare, ma noi abbiamo ogni diritto di utilizzare la scelta per determinare la sua idea di virtù. In breve, se la Chiesa proclama santo Jack lo Squartatore, possiamo legittimamente esprimere qualche riserva riguardo ai suoi principi morali. Ora, Wojtyla ha fatto più vittime di Jack lo Squartatore. Il buon Jack si è limitato a far fuori 5 puttane, Karol ha provocato la morte di milioni di persone. E’ complice di spietati assassini, li ha protetti e le prove sono schiaccianti. Ma per la Chiesa i crimini di Wojtyla sono virtù, perché sono stati compiuti per salvare la sua reputazione e consolidare il suo potere.
Con Wojtyla, la Chiesa replica l’operazione mistificatoria che le è spesso riuscita nel corso dei secoli a partire dalla sua fondazione: prendere un personaggio e ricostruirlo di sana pianta per le sue necessità di facciata. La realtà del personaggio è secondaria, conta soltanto la sua ricostruzione. Una delle tante menzogne sulle quali è costruita la Chiesa. Beatificando il papa polacco la Chiesa ha inteso blindarlo come sta cercando di fare con Pacelli, situandolo al di sopra di ogni sospetto. Si è perfino trovato il miracolo necessario e tanti saluti all’intelligenza, l’importante era farlo santo prima che qualcuno scoprisse gli altarini.
Nel 1994, con Wojtyla al potere, la Chiesa cattolica ha partecipato attivamente al genocidio dei Tutsi in Rwanda che secondo le ultime stime ha provocato come minimo un milione e mezzo di vittime. Nel 1959 i Tutsi avevano osato chiedere l’indipendenza del Rwanda e la partenza dei missionari, firmando così la propria condanna a morte. Da quell’anno in Rwanda è stato tutto un seguito di pogrom e massacri contro i Tutsi da parte degli Hutu aizzati dai missionari. Non c’è da stupirsi che nei mesi di aprile e maggio del 1994 molti preti cattolici, non soltanto Hutu ma anche bianchi come il bresciano Carlo Bonomi in arte Berôme Carlisquia e il belga Guy Theunis abbiano partecipato attivamente al genocidio. Finita la guerra con il rovesciamento del regime genocidario clerico-fascista di Juvénal Habyarimana (grande amico di Wojtyla), il papa polacco ha aperto il suo ombrello protettore per aiutare i preti assassini a sfuggire alla giustizia, più o meno come ha fatto con i preti pedofili. Approfittando dell’operazione Turquoise lanciata dalla Francia (che pure aveva i suoi peccati da nascondere), centinaia di preti assassini hanno lasciato il Rwanda per rifugiarsi in Zaire o in Kenya passando da una missione all’altra per poi essere trasferiti in Europa dove Wojtyla li ha accolti a braccia aperte e nascosti in oscure parrocchie. Avevano le mani sporche di sangue, ma che cosa importava? La reputazione della Chiesa era molto più importante. E in ogni caso i morti erano neri, che evidentemente per Wojtyla contavano molto meno dei morti bianchi.
Fra questi preti c’era un assassino diverso dagli altri, forse il più grande assassino della storia: si chiama Athanase Séromba e da solo ha fatto più vittime che i nazisti alle Fosse Ardeatine e a Marzabotto insieme. Ha attirato 2000 persone nella sua chiesa, le ha chiuse dentro e le ha bruciate vive, poi si è fatto prestare un bulldozer da una ditta italiana ed è passato personalmente sulle macerie ancora fumanti. Quando Séromba è arrivato a Roma attraverso la solita rete di missioni e conventi, Wojtyla si è guardato bene dal consegnarlo alle autorità. Lo ha accolto a braccia aperte e lo ha sistemato in una parrocchia a Montughi, vicino a Firenze, dove l’assassino ha potuto celebrare la messa, dare la comunione ai fedeli e insegnare il catechismo ai bambini. Natiuralmente a spese dei contribuenti italiani.
I difensori del polacco diranno: Wojtyla non sapeva. Certo, lo dicevano anche i difensori dei criminali nazisti. A parte il fatto che, in un organismo centralizzato come la Chiesa Cattolica, il capo supremo e' responsabile di tutto quello che fanno i suoi subordinati, Wojtyla sapeva tutto, perché sulla sua scrivania si erano accumulati i rapporti di African Right, di Human Rights Watch, del Tribunale Penale Internazionale e del governo rwandese che reclamava la sua estradizione. Rapporti imbottiti di prove schiaccianti sul colpevole di uno dei massacri più agghiaccianti della storia. Io stesso ho partecipato a una raccolta di firme e scritto a titolo personale. Sapeva quello che era successo in Rwanda perché era uno dei principali istigatori, avendo ordinato ai preti locali di criminalizzare i Tutsi. Così sapete che cos’ha fatto? Ha cestinato tutto. Séromba aveva ammazzato 2000 persone e allora? Il prestigio della Chiesa contava di più. Poi, come fanno di solito i papi, ha ricattato il governo italiano: se estradate Séromba, vi togliamo l’appoggio elettorale. Così ha costretto il governo a fare quadrato intorno a Séromba. Un prete non deve rispondere a un tribunale secolare. Un riflesso da capomafia, certamente non da persona onesta. Solamente dopo la morte di Wojtyla, quando lo scandalo Séromba aveva assunto dimensioni internazionali e stava diventando controproducente per la Chiesa, il nuovo papa Ratzinger è crollato e ha ceduto alle pressioni di Carla del Ponte, permettendo al governo italiano di estradare Séromba perché fosse giudicato, non senza raccomandare di trattarlo bene.
Qualcuno dirà: tutti possono sbagliare, forse in seguito Wojtyla si è pentito dei suoi crimini. Niente di più sbagliato. Dopo il genocidio, Wojtyla ha sempre mantenuto la stessa linea: difesa a oltranza degli assassini. Dopo il processo in Belgio di suor Gertrude e suor Maria Kisito, accusate e condannate per avere attirato 7000 persone nel loro convento (pensate, 3 volte le vittime delle Torri Gemelle) e averle bruciate vive, sentite come si esprime il polacco al loro riguardo per bocca del suo portavoce Joaquin Navarro-Valls: “Le imputate hanno potuto far valere la loro versione dei fatti in un paese straniero così lontano dal Rwanda? Nell’attesa di una sentenza definitiva, il Santo Padre esprime una certa sorpresa per il loro processo” (Le Soir, Bruxelles, 11 giugno 2001, “Il Santo Padre si stupisce del processo di Bruxelles”). Ma quale attesa di una sentenza definitiva? Il processo era finito! Mai vista una malafede più colossale, mai vista tanta cinica freddezza nei confronti delle vittime. Sembra di sognare. Pensate che cosa sarebbe successo se, dopo la condanna di Eichmann, qualcuno avesse espresso "un certo stupore" per il suo processo. Ma siccome i morti erano africani, Wojtyla l'ha fatta franca.
Dopo avere contribuito a provocare il genocidio, nascosto gli assassini e averli difesi a spada tratta quando sono stati scoperti, Wojtyla ha praticato attivamente il negazionismo. Sentite come si esprime il 19 maggio 1999 sull’Osservatore Romano in un articolo firmato con 3 asterischi (segno di un articolo scritto o ispirato dal papa): “In Rwanda è in corso un’autentica campagna di diffamazione contro la Chiesa Cattolica, che si cerca di far passare come responsabile del massacro dell’etnia Tutsi. L’arresto di monsignor Misago cinque anni dopo i massacri deve essere considerato come l’ultimo atto di una strategia del governo rwandese per ridurre o eliminare il ruolo conciliante della Chiesa nella storia dfel Rwanda passata e presente, cercando con ogni mezzo d’infangare la sua immagine (…) Attualmente l’attenzione della popolazione è concentrata sul genocidio del 1994. In realtà c’è stato un doppio genocidio: quello contro i Tutsi e certi Hutu moderati, effettuato a partire dal 6 aprile 1994, e quello contro gli Hutu a partire dal mese di ottobre del 1990 fino alla presa del potere da parte del Fronte Patriottico Rwandese (FPRì tutsi nel luglio 1994. Questo genocidio degli Hutu è proseguito nella foresta zairese dove gli Hutu in fuga sono stati inseguiti e massacrati per sei mesi senza nessuna protezione da parte della comunità internazionale. Il numero di vittime Hutu ammonta a circa un milione. I due genocidi sono entrambi orribili e vanno ricordati entrambi, se si vuole evitare una propaganda unilaterale.”
Va detto che gli “Hutu in fuga” erano in realtà gli assassini che si stavano riorganizzando sotto la guida della Francia e la protezione della Chiesa per cercar di riprendere il potere in Rwanda, terrorizzando con stupri, saccheggi e massacri tanto le popolazioni locali che quelle frontaliere del Rwanda, e il cosiddetto “secondo genocidio” era la reazione rwandese per mettere fine alle loro violenze. Reagendo a questo articolo, la rivista “Billets d’Afrique” (agosto 1999) scrive giustamente: “L’ultimo paragrafo è esso stesso una tragedia, tenendo conto dell’influenza della Chiesa in Rwanda. Si può discutere sulla qualificazione dei massacri dei rifugiati Hutu. Le cifre ufficiali danno un massimo di 200.000 dispersi. Ma non è questo che rende intollerabile il testo. E’ l’affermazione che un secondo genocidio degli Hutu sarebbe stato compiuto dai Tutsi dall’ottobre del 1990 al luglio del 1994. Questa affermazione sottolineata, ripetuta, con l’evocazione di un milione di vittime hutu, non ha nessuna base storica. Peggio ancora, questi propositi del Vaticano riprendono esattamente la tesi dei pianificatori hutu del genocidio dei Tutsi: questo sarebbe una reazione al genocidio degli Hutu da parte dei Tutsi, un’autodifesa. Così le più alte sfere della Chiesa si allineano con l’ideologia genocidaria e la rialimentano. Questa presa di posizione insensata si avvicina alla complicità…”
Da tutto questo emerge la vera immagine di Wojtyla: un individuo cinico, razzista, calcolatore, sprezzante, privo di ogni senso morale, al quale interessava soltanto il potere della Chiesa. Più di tutto, anche della vita umana, specialmente della vita di umani neri. E' uno dei personaggi piu' loschi che abbiano inquinato il XX secolo, puo' essere affiancato a Hitler, Himmler, Franco, Stalin, Mussolini, Pol Pot. E’ comprensibile che sia stato beatificato, visto che per la Chiesa di Roma i crimini commessi nel suo interesse sono azioni altamente meritorie, e questo la dice lunga sulla sua idea di virtù. Poi, naturalmente,Wojtyla ha difeso anche i pedofili, ma di questa storia parleremo domani.
Dragor
Scritto alle 02:32 nella Attualità, Costume, Religione, rwanda | Permalink | Commenti (4) | TrackBack (0)
Tag: genocidio, Karol Wojtyla, religione, Rwanda
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DOPO LA MORTE di Gesù un team di esperti di marketing, l’antenato di quello che oggi costruisce Bergoglio, si è riunito per decidere come promuovere il personaggio. “Qui ci vuole qualcosa di straordinario, altrimenti anche i credenti più sfegatati prima o poi finiranno per vederlo per quello che è: un pazzoide che si spacciava per il figlio di dio, condannato a morte per blasfemia e omosessualità. Abbiamo già fatto un miracolo cancellando l’omosessualità dalla cronaca ma sembra che ne occorra un altro, altrimenti la gente si scorderà presto di lui.” “Quale?” ha chiesto un giovane membro del team. “ “Ho un’idea” ha detto un vecchio copyrighter che aveva escogitato il miracolo dei pani e dei pesci. “Facciamolo risorgere”. Tutti lo hanno guardato come se avesse 2 teste. “Risorgere?” “Sì, risorgere. Sarà una superprova della sua divinità e i cristiani potranno festeggiare una volta all’anno il giorno della resurrezione. Così non lo dimenticheranno più.” “Ma è proprio necessario?” ha domandato il giovane. “Dovremo pagare dei testimoni perché giurino di averlo visto uscire della tomba. Costerà una barca di soldi e dubito che i credenti…” I membri del team hanno cominciato a parlare tutti insieme mentre il vecchio lo fulminava con lo sguardo. “I credenti li troveranno perché questa è l’idea dei secolo. In fondo non sono diversi dagli atei, quei rompiscatole che vogliono prove per tutto. La differenza è che gli atei le cercano mentre i credenti se le fabbricano. Fede è bene ma con le prove è meglio.”
Dragor
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Tag: ascensione, Gesù, Pasqua, resurrezione
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IL 23 AGOSTO 1973 un certo Jan Erik Olsson, evaso di prigione, ha la pessima idea di rapinare un’agenzia della Kreditbank nel quartiere di Norrmalmstorg a Stoccolma, capitale della Svezia. Durante l’intervento della polizia, il tizio si barrica nella banca prendendo in ostaggio quattro impiegati. Ottiene la liberazione del suo compagno di cella Clark Olofsson che lo raggiunge nella banca assediata. Dopo sei giorni di estenuanti negoziati, gli ostaggi sono finalmente liberati. E a questo punto, sorpresa: gli ostaggi parteggiano per i rapitori contro la polizia. E non basta: al processo si rifiutano di testimoniare contro i banditi. E non basta ancora, perché corre voce che un’ostaggia sposi un bandito, anche se in seguito il fatto viene smentito.
L’ESPRESSIONE “Sindrome di Stoccolma” è stata coniata dallo psichiatra Nils Bejerot nel 1973, ma questa particolare empatia fra gli ostaggi e gli aguzzini è stata studiata a fondo dallo psichiatra americano Frank Ochberg. In sostanza la dinamica è questa: siccome alla perdita di potere corrisponde immancabilmente un calo dell’autostima, l’ostaggio nella sua drammatica impotenza, con l’autostima ai minimi termini, s’innamora del suo dio onnipotente, vale a dire dell’aguzzino.
LA RELIGIONE è una sindrome di Stoccolma su larga scala. Impotenti di fronte a certi fenomeni come la morte o le catastrofi naturali, gli umani li attribuiscono al Dio onnipotente che li tiene in ostaggio, del quale s’innamorano per avere l’impressione di partecipare alla sua onnipotenza e quindi sentirsi un po’ meno impotenti. Ovviamente occorre che il Dio li riami, cosa che farà a certe condizioni (sacrifici, preghiere, comportamenti particolari). In realtà questo Dio è un’emerita carogna che continua a maltrattarli con disgrazie di ogni tipo, ma gli umani sono obbligati a fare i salti mortali per riconoscerlo come buono. Non hanno alternative per sfuggire all’angoscia. Come ogni rapitore gli ostaggi, Dio sa bene come abbassare l'autostima dei credenti per stroncare ogni proposito di ribellione. I suoi fedeli sono nella stessa situazione delle mogli picchiate che si rifiutano di denunciare il marito o dei sudditi di un dittatore. Non avete notato che la gente s’innamora sempre dei dittatori, mai degli uomini di Stato? E Dio come viene comunemente rappresentato non è altro che un dittatore.
MA, DIRETE VOI, non tutti s’inventano un Dio che li prende in ostaggio. Ci sono persone che ne fanno a meno e stanno bene lo stesso, anzi meglio. Perché? La spiegazione è semplicissima. Noi tutti abbiamo la capacità quasi automatica d’interpretare i cambiamenti intorno a noi come il risultato di azioni volute ed eseguite generalmente da esseri umani. Per esempio, se scoprite che la vostra stanza è stata buttata all’aria, cercate il responsabile, ossia fate una “ricerca di agenti”. Questa capacità di ricerca dipende da certe zone del cervello, la corteccia frontale inferolaterale e la corteccia dorsodomediana. In certe persone queste zone sono anormalmente sviluppate. Così, se uno tsunami devasta la costa, non si chiedono come è successo ma chi lo ha fatto. E attribuiscono la causa a uno spirito soprannaturale, vale a dire a Dio.
Dragor
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Tag: Dio, dittatura, mogli picchiate, religione, sindrome di Stoccolma
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IL 75,2 DEGLI ITALIANI CREDE AGLI SPIRITI. Lo rivela un’inchiesta di Eurispes, aggiungendo che i non spiritisti sono soltanto il 19,9 per cento. Proprio cosi’, gran parte degli italiani pensa che ci siano spiriti dappertutto: in cielo, in terra, sottoterra, perfino dentro di loro. Questi spiriti sarebbero all’origine dell’universo e non ci lascerebbero nemmeno dopo la morte. Non so come facciano a vivere con tutti questi spiriti, io avrei paura. Seduto sulla terrazza di un caffè sulla Prom' (ah, la dolcezza del nostro clima che ci permette di sorseggiare un pastis all’aperto in febbraio mentre voialtri nordici tremate come foglie nei vostri climi inospitali), discuto della questione con il mio cognato vescovo evangelista ortodosso, quello che si è costruito la scuola e il bar-ristorante-discoteca-casino a spese dai giapponesi. Il cognato è venuto in Europa dal Rwanda per andare in Svezia a una convention della sua chiesa ma nessuno lo ha privato di una tappa a Nizza per godersi il nostro sole di febbraio prima di affrontare i rigori scandinavi. E ovviamente per fare visita al suo cognato preferito, quello che alla foce della Ruzizi gli ha inflitto 6 ore di attesa sotto il sole nella speranza che il supercoccodrillo Gustave si decidesse a farsi vedere.
PER LA VERITA’ mio cognato non crede agli spiriti ma finge di crederci per motivi economici. Ogni tanto si immedesima nella parte al punto da rivolgere strane domande, come quella che mi ha rivolto mentre si scolava una birra sulla terrazza del caffè della Prom' (in Rwanda picchia quelli che bevono ma lui beve come una spugna): «Ma come fai a vivere solamente di materia? Non provi il bisogno di qualcos’altro?» L’ho guardato come se avesse due teste. «Che cosa stai dicendo ? La materia è soltanto una piccola parte della mia vita. Io passo il tempo fra le favole.» «Le favole?» «Si’, le favole. La letteratura è una favola, la musica è una favola, il cinema è una favola, il teatro è una favola, l’arte figurativa è una favola. Pura fiction. Be’, questa fiction è la mia vita. Il resto è secondario. Mi serve per sopravvivere ma la mia vita è là, fra le favole.» «Se ti piacciono tanto le favole», mi sfida lui, «perché non accetti Dio, i santi, i miracoli? Sono una favola anche loro.» «Si’, ma una favola che ritenete vera. Ecco la differenza. Io sono cosciente della differenza fra la realtà fiabesca e quella materiale, voi no. Vi rifiutate di crescere. Tutti i problemi dell’umanità sono cominciati quando qualcuno ha detto: questa favola è vera. Quando si è persa la capacità di distinguere la realtà dalla fantasia. Quando si sono presi i propri desideri per realtà. Questo è anche un sintomo di schizofre… » «Ehi, guarda che tette » m’interrompe lui, accennando a una tizia che passa davanti al nostro tavolo. Guardo, sono troppo grosse. Dev’esserci dentro un quintale di silicone. «Vuoi scommettere che è una favola anche quella? Ma è bello sentirsela raccontare.»
Dragor
Scritto alle 22:57 nella Diario personale, Religione | Permalink | Commenti (6) | TrackBack (0)
Tag: favole, religione
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